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08/12/09

Dedicato a Luana Trapè




I colori vivissimi ci invitano ad entrare nel mondo delle rappresentazioni figurali di Luana, (http://www.luanatrape.it/ ) come porte aperte, e quello che accade davanti al nostro sguardo fa strada a un viaggio che si nutre di fantasia. Sono lacerti di storie che rimandano altrove, sollevano istantaneamente da ogni raccordo che già conosciamo come a dire:" Di questa storia non sai nulla, entra e vedrai".
Parabole istantanee, leggende sfumate di cui s'individua un profilo apparentemente palese che rivela e nasconde, un tratto squisitamente narrativo che spinge verso il sogno, la sconfessione di una percezione abituale, ottenuta muovendosi in un "inedito" abbagliante, dove amanti possono abitare nuvole dense come cespugli, il cielo trasalire sull'unico uccellino che assiste alla scena, testimone, in mezzo a un verde brillante, del mistero amoroso sorpreso nell'istante di un bacio, nel "fenomeno" della sua unicità e della sua solitudine nel mondo.
Così sono immerse in una sorta di felicità arcana e primordiale tutte le altre raffigurazioni, colte nel momento in cui le cose si compiono, e sporge un gesto che congela la storia per farci tornare indietro alla sua origine e immaginarne lo sviluppo. Le figure umane che vi vivono sono colte nel gioco col mondo, nell'acme di un divenire, mentre cavalcano il tema dell'esistenza con un solo gesto che trasfigura, porta negli atri di un sogno ad occhi aperti, vivo di un silenzio prezioso in cui avvengono le cose prime e le ultime. I gesti si fanno solenni e irripetibili, e la storia, come la nostra vita, può avere un fianco morso da un'aquila, ma le gocce di sangue, toccando terra, diventano fiori. Un paradiso che è l'Istante in cui l'occhio dell'Artista scorge la materia per una mitologia distesa, mossa da una lievissima ala d'ironia, che ci fa strada verso un arcano che volentieri abitiamo, passando attraverso l'inevitabile sgomento, che è la porta necessaria per accedere a qualsiasi verità.

Enrica Loggi

29/11/09

Ritratto dell'amica Maria Grazia Maiorino

Hai gambe agili e lungo il passo
una falcata coraggiosa
e parole che ti vestono di piume
quando il cielo annera sui capelli
che ti fanno bandiera.


(Enrica Loggi)

29/10/09

Per una rilettura di "Inventario" di Rita Vitali Rosati



Il libro si apre come un alfabeto magico che comincia con un' A sonora e finisce con la sibilante Zeta. Tra queste due lettere ne compaiono altre, che sembrano pescate nel gioco delle classiche 21, ripescate, evocate.
A ciascuna fa seguito una serie di racconti che chiedono, per esprimersi, tutto quanto l'alfabeto e forse diverse lettere in più, per comporre la loro lingua e scomparire quando tra le immagini trascritte compare l'ineffabile. E questo si affaccia dovunque, perchè le persone, i luoghi, i sentimenti vivono in un transito continuo, che presuppone per ogni immagine uno spazio straniato dallo spazio, un tempo dal tempo, e di rimando una puntualità che si ritaglia nell'attimo dello scatto, dilatandosi in una larga situazione.
Rita conosce persone e luoghi di cui c'invita a condividere l'amicizia; se non altro ci visitano tutte le facce di questa umanità, città degli uomini e delle cose, dove la macchina fotografica viaggia ricordando e raccontando.


L'immagine non ha cornici, confina con vie che portano a piazze, a feste, a porte che si aprono verso varie immensità, di luogo e d'anima. E' presente la nostalgia accanto all'allegria, un intelligente ironia che confina con ogni profilo umano amato e coltivato di per sè, nella coscienza dell'incontro e del viaggio, del discorso e del silenzio, della fretta e della pazienza, dell'amore e della distrazione, della bellezza e del semplice stupore, dell'edito e dell'inedito, di un'allegra stravaganza.
La folla dei volti e dei luoghi c'immerge nella sostanza delle parole che compongono il romanzo simultaneo di occhi, labbra, gesti, petali, ombre, cieli, e ad ogni pagina i dettagli della memoria trasvolano in un'immediata attualità [...]
Andiamo a ricostruire un microcosmo visuale che lascia dietro di sè il desiderio che il libro continui, che la vita che vi si muove si trasformi, attraverso le braccia silenziose dell'angelo che chiude la raccolta, nella visione, questa volta, di un mondo "Iperuranio" le cui avvisaglie stanno già nelle chiese incielate, nelle ali degli aerei e in qualche scorcio di bar all'aperto, a cercare un estate che non finisce, un inverno caldo di presenze, una primavera per altre margherite. Una città dove ritrovare, negli angoli, qualcuno che è comparso in questa storia, e ripartendo da una sola figura, regalare a Rita un'altra storia perfetta da raccontare.
Così, in questo viaggio continuo, di cui immaginiamo le soste improvvise, l'avversione per le pose e invece l'amore stupefatto e il cammino profondo nell'immagine, si costruisce il mondo senza disegni programmatici, e il mondo si mostra, in questo florilegio, un'amichevole sostanza.
L'intensità degli attimi restituisce a un coro di sensazioni, a un intreccio, a un dialogo infine tra la propria interiorità e quanto dell'universo rappresentato è senso, concetto prima che concezione, visione prima della vista, meditazione che si scioglie nel sorriso ininterrotto, curiosità che scavalca il nesso della logica consegnandoci il frutto da cogliere, il fiore che l'Autrice va raccogliendo ogni volta, spogliando delle spine le sue rose.

Enrica Loggi


21/06/09

Le "selci" di Francesco Lucidi

Francesco Lucidi mi accompagna attraverso il suo studio muovendosi lui stesso come un ospite, tra sagome di gesso, bronzo, cera e segni che creano nella grande stanza un clima di operosità dolce, lontana dalle mode, un intenso scenario, il tema di un racconto di vita che si anima di una sua storicità e autorità quasi non voluta, una favola d'artista. Dico favola perchè è nel segno di una ormai introvabile umanità che Francesco lascia sul suo cammino queste tracce, che adombrano una fede antica nell'arte e un'umiltà nell'incarnarla, grande quasi come l'ideazione dei corpi danzanti di un suo "omaggio a Matisse" e ricca come l'ultima sua produzione: una serie di proposte che riguardano la semplice pietra, levigata fino a ricavarne superfici appena mosse, traspiranti, dalla forma irregolare, frammentata ad arte.
Selvaggia e preziosa allo stesso tempo, la "selce" è quasi un gioiello primitivo in cui il bronzo interviene come un castone, vibrando in rappresentazioni minimali della fertilità, accanto a citazioni dalle Scritture, che armonizzano la nudità della pietra con l'animazione del racconto, in un contrappunto estetico-morale vivo come una sigla. La successione delle "selci", che si dispongono su supporti di legno colorato, risale le epoche dell'arte col suo passo mistico, è storia e preistoria di sè, e vive questa duplicità in un intenso vibrare di senso, linguaggio velato e rivelato insieme, che chiede allo sguardo di raccogliersi in un'intensa sosta.

Enrica Loggi

05/04/09



Tornavano i passeri a percorrere ombre d'oleandro
e la via s'adornò del loro silenzio.
C'è un'ansa dove non arriva il cuore
e lungo il mare la portano le barche
distaccate dai moli. Per ogni barca si muove il cielo
ondeggia l'acqua come un sospiro
torna il gabbiano a stridere
o cammina impettito sulle funi
del confine azzurro.
Tutto è trasalito con la primavera
i verdi getti del salice, la magnolia
i campicelli di primule
e la breve strada dei morti su per la collina.
Mi vengono a trovare
alle pendici dei sogni
sgorga un'acqua raminga dalle loro mani
e dal ricordo esalano profumi
che abitarono la giovinezza
come ogni tempo.
Gli accordi del giorno prevedono cetre
e corde sottili tra le dita
si muove il mare oltre l'estremo scoglio.
Va la mia barca, carica di erbe ricche
a solcare i mari del mio tempo
s'adagia prima di sera sul suo molo
e chiama gli uccelli.


(Enrica Loggi)

01/04/09

Dedicato a Giovanni Ercoli




Davanti a questa pittura, escavazione della materia, ritmo interiore ripetuto in definizioni minime, è quasi doveroso soffermarsi in silenzio, scorrere meditandolo il lieve scarto tra immagine ed immagine in sequenza, immergersi in queste concrezioni del segno senza quasi pronunciarsi.
Ci investe il tempo che idealmente trasporta le sequenze una nell'altra, ne cogliamo attimi, anni-luce, e la storia passa fino a noi, ci parla dalla sua intima pazienza, una domanda dell'essere all'essere.
Nei bianchi che si fanno grigi il paesaggio si porge con la forza di una scelta interiore.
La pittura di Giovanni Ercoli ( www.giovanniercoli.it ) ci incontra quando siamo pronti ad uno speciale silenzio, soli con questa materia di tempo e luce in prossimità di una dimensione originaria, al primo definirsi di una voce che si va schiarendo senza mai rivelare appieno la sua parola e traducendosi in forma della mente, respiro della materia.
Quasi una tregua che si scandisce, poggiando sulla leggerezza di un nulla, una cenere trascorsa, un perchè che non si risolve altrimenti che tornando a un'interna radice.
Da questo punto l'immagine muove lentamente nello spazio come sabbia in una clessidra, a cercare il suo possibile infinito.
Quello di Giovanni è un modo di riaffermare una remotezza, la distanza scelta da un mondo che ci lascia troppo spesso privi di senso, nell'affanno di ricreare un nuovo moto della coscienza, un punto ineludibile da cui ripartire per rianimare un sè profondo, nutrire il nostro fragile presente.

Enrica Loggi

22/03/09

Poesie di Isabella Franchellucci

Sabato 21 Marzo è stato presentato al Punto Einaudi di San Benedetto del Tronto il libro di poesie "Moto convesso" (Canalini e Santoni) di Isabella Franchellucci, poetessa di Cupramarittima, autrice anche di "Frammenti circolari" (1995), "Quarta corda" (2000) e "SingolarMente" (2005).
Trascrivo due liriche di Isabella e parte del mio contributo critico alla serata.


**
percezione

Nell'autunno che incede
basso planare di stormi.
La luce si smorza
nel crepuscolo.
La terra vischiosa
dopo la pioggia
e il muschio si insinua
tra i sassi confusi nel fango.

Abbiamo abbracciato questo tempo
col tocco fuggevole
di un amore strano e ribelle.

Un voler esserci
e invece sparire
in questo viaggio apparente
nella frenesia delle cose.

Domani ti chiederò
quale passo abbiamo inseguito
in queste distanze sideree
e questo pianto antico
si scioglierà
nella percezione d'assoluto.

**

atomo essere

Uno schianto nei pensieri,
cala il sole
dietro il verde dei pioppi,
cristalli di luce
al riverbero invernale
e lo smarrirsi
delle cose.
Ore consunte
come pietre focaie,
lo strofinare delle forze
sullo sfondo
ormai in ombra.

Forse un palpito emerge
l'abbraccio di un sentire
la commossa appartenenza
ad ogni atomo di vita.

**

[...]
In questa contesa assidua vibra per la poesia la volontà di esserci e dispiegarsi, come un abito intimo ed esclusivo, che si indossa a dispetto degli oblii del mondo...
Nello svelarsi costante di questa confessione c'è la richiesta di un'altra amicizia, una domanda di felicità sottesa che non si pronuncia, ma rientra, come una luce autunnale, nella radice ineludibile dei giorni, grumo di passione che non si è sciolto, e che la poesia, antica amica a cui Isabella si affida in un abbraccio esclusivo, reca stretto e sublima nel suo corso.
Per l'energia del verso, la discrezione delle similitudini, l'incedere come in un rito silenzioso, questa poesia si fa portatrice di un annuncio tanto più prezioso quanto sommesso, fabbrica un tessuto che può vestirci, e ci invita tacitamente, sulla barca dove ognuno di noi è chiamato a stendere, come una vela, il suo sudario.

Enrica Loggi

12/03/09



lontano ha gridato
.la primula gialla
.il colore...

07/03/09

Maria Lenti: recensione a "Di acque e segni labili"



Ma che cosa c'è tra la nascita e la morte, nello spazio che chiamiamo vita? Una immensa solitudine, una ricerca continua di un "altro" e di un "oltre" che non rispondono ai richiami, un ritrarsi nel proprio vivere per una impossibile risposta alla ricerca, per un incontro che mai avviene con il mio simile, o i tanti simili che affollano e schiamazzano o fingono di vivere nella città, attorno. Allora ci si incarna nel paesaggio, nelle acque, nella natura, in quel riconoscibile alter ego del più fine sentire da cui mai sarò allontanata. Il resto sono segni labili.
Sono questi gli interrogativi e queste le presenze, almeno in parte, che Enrica Loggi, già da "Vasto era il mare" (1994) e attraverso "Il seme della pioggia" (1995), semina e lascia anche nelle ultime, stillate, poesie raccolte in "Di acque e segni Labili" : poesie del desiderio limpido di incontri mattutini e quotidiani con le albe e le lucertole, i cieli e la rondine, l'estate - "preistoria" di un sè e di quel che fu - la siepe e il vento e tutto un registro scritturale che immette dentro - scrive Guido Garufi nella prefazione - "con sapienza e consapevolezza un suo De rerum natura" per trarne un'essenza, una risposta che sia, almeno un pò, una ragione del vivere.
Altra ragione non sembra adombrarsi, se non scrutando quella "natura" e magari rintracciandovi il senso di un più, di un oltre che qui non è, non è nel passato, non è nel presente incapsulato più nei chiassi e nelle esteriorità che nelle profondità dell'essere.
Rintracciarvi forse, il senso di una presenza che è ma non esiste: questo nostro essere creature insieme alle altre creature e alle stagioni, ripetute e continue, inseguite e rimpiante, e trovare in tutto questo il senso del vivere. Non si può non concordare con Guido Garufi quando scrive: "...questa poesia che a volte accenna al canto, velandolo con pudore e mai scoprendosi in elegia totale, tenta con grande grazia e con timidezza una sua attonita colloquialità con la "foresta" georgica del suo paese, del suo orizzonte cittadino circondato dai colli, dai boschi, dagli erbari, quasi innestandosi dentro l'anima in una "justissima tellus", anima interna, anima animata."
Alla ricerca, quest'anima animata, di un senso da allargare al suo sè. Senso che sfugge, tuttavia, che non può essere detto per intero, che anzi, forse, non c'è, non c'è più, ammesso che ci sia stato, che qualcuno l'abbia scoperto, avuto, riferito, riverito, posseduto:
.......Di acque e segni labili
.......gira il giorno vuotandosi.
.......La sosta è fino alla malinconia
.......d'ocra confuso nei ponti
.......sopravvissuti all'alito
.......di città natali e straniere.
.......Accolgo le tue linee minute
.......nel palmo dove ti nascondi
.......a me che non potrei fuggire.
.......Ti chiudo, ti sorrido alla rinfusa
.......un pò soffrendo il distare
.......del cielo intatto a entrambi.
.......Ci sono ombre che non tradiscono,
.......lo sguardo non s'allontana
.......da un breve diario di parole.
Nell'ansa che si forma tra l'avvio ancora un poco speranzoso e il ritorno sullo stesso punto scorre una domanda silenziosa e muta: ma, allora, come e quando la vita si è innervata? E dove è andata a finire la nervatura?
Appartiene, questa domanda, alla poesia meno contingente e più "religiosa" ( della religione della vita ) di questo nostro secolo - per stare a qualche cosa che ci contiene ancora, nonostante i tentativi di chi insiste a dire che ce ne siamo allontanti o distaccati - : la poesia che guarda al profondo magari servendosi anche dei segni, labili, del quotidiano, del feriale, dell'intorno, di stagioni continue e variate senza scampo e senza traccia.
Non tutto è perduto. Resta il sogno. Ci si può immergere nelle sue acque, ma anche qui senza vie d'uscita:
.......Il sogno impasta nella saliva
.......rose di creta.
.......E' destino, come una culla piena di panni
.......discendere poveri all'acqua di un primo giorno.
L'illusione dura lo spazio di un mattino...che si rinnova ogni giorno: e questo è lo spazio in cui viviamo.

02/03/09

Il bianco e il nero nella folla dei giorni

Alla Galleria Marconi ( Cupramarittima ), ecco l'esito di un'esperienza fotografica di Roberto Cicchinè e il mio commento.

Nell'intrico dei rami
nel fitto d'erba scura
tutto è già accaduto ma diviene ancora
come la terra e il cielo
il bianco e il nero nella folla dei giorni.

[...]
Bianco e nero intercettano i colori, si fanno ventaglio e schermo di storie, di accadimenti, sono come un sipario.
Vi immaginiamo il colore dei sottoboschi, e nidi, pagliuzze intrecciate a dare ospitalità a creature dell'erba, dove non penetrano che le gocce di pioggia o lo sfiorire della neve.
Leggiamo queste "siepi" pensando al loro miraggio nell'occhio dell'artista, al suo cammino per arrivare a questa sintesi folgorante, che è l'ipotesi audace del tempo di un duello leggendario di luce e d'ombra.
Man mano vi si alza il calore di una suspence, un'atmosfera, in un imperversare di fenomeni che rimandano a una memoria, alla necessità di cercare, nelle cose, un dato inconfutabile, una parola assoluta, il dono di un alfabeto, che è il divenire di quest'analisi carica d'entusiasmo e densa di futuro.

Enrica Loggi

19/02/09

Il sorriso di Oho



Ho trovato queste parole per un evento recente: "Billemì" , la mostra di Nazareno Luciani alla Palazzina Azzurra di San Benedetto:

C'è un sorriso evanescente che non si cerca, ma si fa trovare nel divenire puntiforme di questa pittura così evocativa. Dallo sfondo alle figurazioni accennate, immateriali, a quelle energiche e volitive, c'è infatti il passo netto, lontanante, dell'evocazione. E quello che più ci lascia avvolti a questo linguaggio è il potere della pittura di restare immagine e cielo di se stessa; ci chiediamo anzi per dove passa il suo rendersi così aerea, docile, appena un pronunciamento a volte, la discrezione massima.
I grigi, i neri, i viola, i rari colori di questi quadri di Nazareno sono altrettante parole che sbocciano senza far rumore sui silenzi perlacei delle campiture dove labili dove fortissime. E sono alfabeti, lingue emerse che si affacciano per farsi momento e storia davanti ai nostri occhi, leggende in atto dove ci si apre al colore con estrema circospezione, quasi a temere di infrangere il Segno che l'artista vibra sulla tela solcandola e trasognandola...
...sono vie di un labirinto che reca in sè, nella figurina ricorrente di Oho, la chiave della favola umana di Nazareno e della nostra, quasi un punto di raccordo, o una scaglia, una vertebra della nostra struttura di esseri pensanti e pensati...

Enrica Loggi 



12/02/09

"Per Enrica" di Maria Grazia Maiorino


Vorrei fosse "La finestra di fronte"
la tua casa con le piccole stanze
una dentro l'altra come matriosche
trasparenti mentre impensati affondi
nel dolore al telefono racconti
sempre pronta a risorgere nei versi
che ti legano al mondo strenui lacci
d'oro puro parole inanellate
dalla voce all'uncinetto catenelle
mani slanciate nell'abbraccio
a Roberto quando ritorna
è per lui il canzoniere sussurrato
sotto le ciglia tempo disegnato
per voi due nella soffitta alacre
degli intagli - respirano gli specchi
le cornici di legno dipinto le lune
di conchiglie quest'aria di poesia
che profuma le stanze
la porteranno ai mercatini
ombreggiature che solo loro sanno

Vorrei fosse "La finestra di fronte"
il terrazzino sporgente verso un fico
attraversato dal rumore del mare
che per me circonda la tua casa
arca fluttuante sempre in attesa
dell'annuncio...

08/02/09

A papà miè ( A mio padre )

So vnuta ssassù
sopra lu coll
lu s'lenzi era fort, era lu ciel
sott'a lu ciel li garofna bbiang
cingu' p tte e cing' p mmamma
ng sctiè nnsciuna, savàm i, tu e essa
ppuò tutt chighiaddr ca nni cunosc
ardiè li lmì era quasc nott
so rcalata a ppass d'om
so rprtat lu s'lenzi, t so r'alat nu vasc.
Nnè ora c m viè n'zuogn?

***

Sono venuta lassù
sul colle
il silenzio era forte, era il cielo
sotto il cielo i garofani bianchi
cinque per te e cinque per mamma
non c'era nessuno, eravamo io, tu e lei
poi tutti gli altri che non conosco
ardevano i lumini era quasi notte
sono scesa a passo d'uomo
ho portato il silenzio, t'ho regalato un bacio.
Non è ora che mi vieni in sogno?


Enrica Loggi
( poesia 1° classificata Provincia Ascoli-Fermo, al 33° Festival del dialetto di Varano - AN )

06/02/09



Monsampolo quasi sera

01/02/09

poesia per Altidona

Pochi fiori sui cigli delle mura, licheni
e un'aria d'altro tempo che ti cinge, Altidona
a metà della collina contro il sole.
Ora che è primavera voglio visitarti
portare i miei passi per le tue strade
ricordare i viaggi dentro di te
le piccole cose che nascondi, le minuscole vite.
Da un angolo ti guardo ed i tuoi alberi
quieti disegnano un dolce andare
torno da te ma per tornare
occorre essere partiti una volta.
E' sempre estate
quando ti cerco e come una fanciulla
mi prendi la mano e m'accompagni
a visitare la tua casa
offrendomi un po' del tuo profumo.
Ti vesti di umile ed austera grazia
e di nuovo il canto delle cicale
invadrà una tua piazza.
Il tuo silenzio è paterno e materno
sulle ciglia
una grazia che non lascia scorrere pianto
ma un'acqua rugiadosa che ti lava d'estate.
Ti troverò al termine delle piogge
nel ricordo di un po' di neve
dentro l'aria domestica e sperduta
del tuo lontano risveglio, come fiato
che respiro appoggiandomi
alle case nel bilico del sole.
Percorrerò un tuo giorno, e oltre il crepuscolo
scenderò per le scale della sera
contando gli attimi della tua amicizia.
Racconteremo al tempo d'estate
le storie dell'arte e dell'amore.


Enrica Loggi
( tratta dal catalogo della mostra d'arte "Stanze Aperte", Altidona 2006 )

22/01/09

"Sulle tracce lievi di Enrica Loggi" di Maria Angela Menghini


Colpisce l'immagine iniziale del "mattino che in fretta ha raccolto l'abito grande disteso sulla sabbia" e ancora v'incontriamo che "stende una coperta di luna il falco argentato sui campi". Oppure il "tiepido alitare di panni stesi alla finestra", "la mezza luce delle tende". La raccolta "Il talento dei giorni" di Enrica Loggi è ovunque trasfusa di aeree visioni d'ondeggiare e sollevarsi di veli come sipari che coprono e scoprono profondità e sensibilità verso l'indeterminato o forse più specificamente verso l'infinito che rimanda a Leopardi (e già Paolo Ruffilli nell'introduzione sottolinea l'ascendente ). Dominano le impressioni volatili di "stormi di parole" e si levano solitari in volo: allodola, rondine, falco, gabbiano quasi a celare ed esprimere l'identità dell'autrice "malcerta di esserci" e incauta verso "la ragnatela dove cadrà la multivaga farfalla". E tra i solitari animali fa la sua comparsa anche la lucertola che evoca fuori dal tempo fissità subitamente interrotte. Vi si percepisce la frammentaria solitudine esistenziale di un vuoto che è pieno d'attesa irrisolta e di una sensibilità sempre tesa verso un oltre il cui desiderio vivo e non pago quasi si materializza nella grazia dell'ossimoro della "vergine mania" che un sussulto riconduce a cose più usuali. Anche quando il messaggio rimane sotto traccia ci suggerisce con discrezione che "siamo sull'infinito precipizio che stimola le vite e le soccorre mentre si dipana l'andirivieni conoscibile".
Una sensazione visiva è persistente, una movenza d'effetto filmico come di dissolvenza, nel frammentarsi e sgranarsi della superficie dell'immagine, come il diradarsi, il disperdersi a confondere il nitore sia che lo sguardo fissi l'acqua, il cielo, la terra. Ad essere mimata è la perdita di compattezza e l'estrema tensione di violare lo schermo della realtà. E sono "sull'acqua briciole sfatte" e il "mattino d'aria screziata", "le rose del giardino sono sparse a terra". Quasi sempre sono sfondi a campo visivo lungo su cui si accennano moti ascensionali di dissociazione tra ciò che muove dall'io e ciò che ristà di sè: "Muove, nella distanza, salendo / il pensiero", "Lascia la terra lo sguardo", "lascio partire un volo di desideri". In questo sforzo di levitazione il parlato è trasognato, quasi un fuori di sè che subisce il fascino predatorio della vastità traslucida e insistentemente equorea delle proprie visioni en plein air.
Il paesaggio è rarefatto e "s'illumina di dentro come un'anima", si disegna a linee lunghe e sospese di orizzonti pallidi e di marine adriatiche grigio azzurre con cui l'autrice tiene prolungatamente una nota vibrata di colore di sottofondo mai squillante, di rado acceso a macchie di gerani e rose. Contrasti ma sempre lievi senza mai corpo a corpo tra questa leggerezza e il quotidiano ordinario che appena per cenni è come evocato e subito bandito dai versi in favore di indizi dalla parvenza inconsistente di filiformi, pulviscolari o velari variazioni di tutto ciò che è appena di qua dalla dissoluzione e dal nulla: tracce lievi che pure sostengono l'impianto del libro.
Il velo, dunque, l'orma, la tela di ragno, "le nubi nel disegno smarrito dei margini", i raggi, la caligine, il battere di ciglia, "la cipria dell'alba". Talvolta fin dall'incipit sono "Il tremore dell'acqua fonda, l'impronta di salsedine" a produrre una multiforme eppur monocromatica sensazione d'incerto. E ancora polvere, petali, cenere, "il fiore appassito tra le pagine". E' la semantica dell'impalpabile, della fragilità nello sfumato di contorni, nel vago del pallore del sogno.
Si addice alle poesie della raccolta quanto Calvino ("La leggerezza", in "Lezioni americane") scrive sui versi di "Piccolo testamento" di Montale: "una professione di fede nella persistenza di ciò che più sembra destinato a perire, e nei valori morali investiti nelle tracce più tenui". 
Forse anche la chiave di interpretazione del titolo "Il talento dei giorni" suggerisce nei versi la dote che l'inquietudine del transeunte porta con sé: quasi una scelta tout court per la poesia antidoto quanto mai salutare al nostro tempo cui l'autrice sembra opporsi serena e sicura chiamando all'appello i suoi simili:


l'uccellino ha chiamato i compagni, ora siamo di più 

L'infantile paese delle nostre parole adulte
comincia da questa materia sospesa.

(da "Hortus" semestrale di poesia e arte n° 26 )

16/01/09

recensione di Annalisa De Gregorio a "Il talento dei giorni"


C'è un mondo che non è nè terrestre, nè celeste, vive all'altezza delle nebbie, è visione, fata morgana, bolla di poesia.

Niente ha corpo di carne e di terra. C'è un passaggio, uno spiraglio tra le parole che porta verso un oltre di visioni azzurrine, le parole sono sussurri, intuizioni; le regole del discorso logico definitivamente disattese, dànno un respiro largo, di libertà raggiunta nell'arte dell'abbandono, coraggiosa, fatale a volte. Il senso di mancanza dà ai versi una trasparenza di madreperla, non c'è il sole che aspetta dietro, c'è un'aria struggente, un'acqua lieve. I paesaggi sono appoggiati al vento e "come sonnambuli / i muri avanzano". Il senso di mancanza è il mio che riconosco il luogo perduto- forse quello della purezza?- e ora di nuovo intravisto, ormai perso per me e la nostalgìa mi sovrasta, vorrei entrare, restare...
Il dolore scivola nell'umida nebbia della notte, ingentilito da un velo, animali d'argento appaiono inconsistenti
eppure profondamente epifanici, e "l'orizzonte come una fontana / un bacio, il fiato della bocca / d'una statua."
I suoni del verso hanno una loro armonia indipendente dal senso, che non ha momenti di caduta, spesso ci si stupisce di ascoltare il ritmo perduto della natura, il tono è alto a volte, elegiaco; alcune parole desuete perdono tutta la loro pesantezza per riprendere significato.
C'è silenzio in questo giardino protetto, il silenzio circonda le parole, vive con loro; le onde del mare, che pare bagnare ogni poesia, sono onde del cuore, la città, il porto, il circo luoghi d'immaginazione che si sfaldano in altri pensieri conseguenti, di grande poeticità, si entra in un mondo di sensazioni in punta di piedi e si esce alla fine naufraghi, accucciati su una spiaggia grigia di sabbia, inconsistenti al mondo, spersi come foglie cadenti o cadute, non c'è tempo e spazio che da sempre ci trattengono, arricchiti da bellezza pur nel dolore e nel disagio del vivere, che l'anima di un compagno poeta sa donarci in un giorno qualunque, per caso.