------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

teatri invisibili



Queste note sono state ispirate da alcuni spettacoli teatrali andati in scena in occasione della rassegna “Teatri Invisibili”, organizzata dal Laboratorio Teatrale Re Nudo di San Benedetto del Tronto.

Il Teatro dell’Olmo, nell’ambito dei Teatri Invisibili di quest’anno, ancora una volta ci riserva le sue magie. Nello spazio quadrangolare circondato da sipari neri ieri sera abbiamo trovato a vegliare due microfoni e una fisarmonica. Il tempo di aspettare l’ultimo spettatore e lo strumento di Sergio Capoferri avrebbe incontrato una mano sensibilissima, e lo sguardo di Piergiorgio Cinì avrebbe dato il via alla musica  sommandosi alle parole in un’alternanza ricca e delicatissima, mentre il tema “Frontiere” avrebbe incontrato la voce, la classe, la compostezza, l’emozione di Piergiorgio, che aveva fatto suoi i versi e le prose di poeti e scrittori, dividendo tra loro il suo pane che è pane da sempre: l’interpretazione.
Nella voce di Piergiorgio si cala l’indicibile, nelle sue assonanze e dissonanze trova posto la dignitosa commozione, una maestria che è diventata perfetta negli anni, e che riesce a porgerci i temi, le trame con estrema discrezione, senza mai forzare: anzi, via via che la recitazione prende il volo, questa voce che abbiamo imparato ad amare nel tempo si flette, si moltiplica, si conferma, si nega magicamente. Ieri sera portava con sé la memoria delle tragedie umane nel Mediterraneo ma anche un punta di humour tragico, che ha fatto di questa versione il caleidoscopio generosissimo di un impegno umano, della sua forza e insieme del senso d’impotenza dell’Arte a risolvere la vita, e la mestizia che ne scaturisce. Intanto le parole correvano sul filo della musica e sul filo del nostro sogno cosciente, nell’ombra di un  continuo  smarrito stupore davanti al mistero della sofferenza e alla fiducia in una speranza che, verso la conclusione, spunta come un fiore di campo dall’anima desta della scrittura. Il tutto veicolato dalle note a volte esili, a volte travolgenti, sempre struggenti di uno splendido Sergio Capoferri. Musica e parole vegliano lo spazio dell’Olmo come un arrivederci, come la promessa di sciogliersi per noi in un altro volo.

*
 “Pier Paolo Pasolini. Una disperata vitalità”. Il nuovo spettacolo di Re Nudo
Domenica scorsa al Teatro delle Energie di Grottammare Piergiorgio Cinì e i suoi attori ci hanno regalato un capolavoro. Affrontare la pagina di Pasolini è un compito assai arduo, ma i testi poetici che vengono affidati a ciascun attore e alla sua raffinatissima mimica ricordano il Poeta nella fine, tuttora attuale, aria del suo dire, mostrandoci con trepidazione il difficile mondo di Pier Paolo tenue e lacrimante, sublime e mite.
Parole come sassi abbandonati nell’acqua col loro moto concentrico, diviso tra il singolo attore e il resto degli altri che sono forti echi, simboli di un’umanità fervida e insieme dubbiosa, dolorosa quel tanto che basta per rammemorarsi a noi, che abbiamo visto passare nel buio della sala la vita, la carne, l’urlo, la passione, il tremore della morte, lo splendore della verità.
Davanti a noi sfilavano con le loro anime docili i discepoli della vita, gli amanti di un clamore che si divideva in più note, toccando la nostra materia vivente e lasciandoci  scuotere dai corpi in movimento, il loro ondeggiare, le loro voci, l’ironia, il sospiro e l’umanità. Tutto consegnato a noi senza veli, durevole e compiuto nella recitazione, che ci ha comunicato splendidamente un amore stremato per un riscatto di là da venire. Diretti dalla magia di Paola Chiama, in movimenti sincronici attraversati dalle luci, studiati eppur leggeri, spontanei gli attori prestavano le loro fitte sagome al divenire della luce e delle parole, e sullo sfondo una scena ondivaga, trascinante, ipnotica, in forte armonia con se stessa.
Siamo usciti diversi, increduli, cambiati, partecipi, nella notte che ci accarezzava regalandoci un ritorno a casa umile e forte insieme. Tutti i volti che si sono soffermati a dirci la forza, il fascino, la profezia di una vita ora sono nel nostro cuore e nella nostra memoria, benedetti per sempre.
Grazie, Re Nudo, oggi ti vesto a festa !
*
All’alba, un palpito di mare

4 Agosto 2015 - Stamani ho assistito sulla spiaggia di Grottammare allo spettacolo itinerante "All'alba, un palpito di mare" a cura del Laboratorio Teatrale Re Nudo. Queste le mie note.

La libertà, la bellezza, è un sogno fuggente. Confina col mare che all’alba compie miracoli colorati. Rintracciare un terracqueo punto di partenza e cucirlo in crescendo ad altri punti è stato il compito felice di questo spettacolo, che inizia con un canto sul mare, per il mare, mite e fortemente evocativo. Gli attori mescolano la loro fluttuante presenza al vento mattutino che scandisce i corpi. E’ un teatro dell’anima, della luce, dell’imprevisto.
Dietro il drappello itinerante che procede sulla spiaggia siamo silenziosamente chiamati ad unirci nel cammino, e così sentirci dentro lo spettacolo, affrancati da ogni giudizio, ma amorosamente partecipi, mentre la sabbia cerca i nostri passi. E c’è, come l’alba che va superbamente disegnandosi nel cielo, quasi una veglia, un dolce torpore in questi corpi vestiti di bianco, e che l’energia di questa rappresentazione rapisce con sé.
Il mare piatto accoglie le sagome umane che vi si immergono in una lunga scena, palpitando e gareggiando con un’immaginaria forza di gravità che continua ad animare il tutto e a conferirgli un interno movimento che si trasmette, come un giro di boa che finisce sulle labbra assorte degli attori.
Gli spazi in cui la performance si muove sono immensi, eppure il racconto è semplice, umanamente perfetto in un contrasto con il sublime.
Geniale è l’idea di lanciare gli attori in corsa sulla battigia, un momento in cui il mare che li ospitava diventa materno, carico di vita.
Ci si abbandona alle presenze evocate e cangianti immagini, come ad esempio la figura del fisarmonicista, che da uno scoglio manda il vibrare di un suono che è quasi un richiamo, la voce impercettibile di una sirena.
Questo racconto, questa favola terracquea è lo sforzo di rompere la nostra pigra quotidianità per fare appello alle forze terrestri e celesti che si prestano magnificamente a colmare la bellezza davvero grande della narrazione. Per un’ora si rifiorisce col mare, si disputa col cielo, si respira un’aria di cristallo.
Si immette nel percorso degli uomini una giustizia celeste, una coscienza, un respiro, un batticuore che non scorderemo.

*
“Not here not now”, Andrea Cosentino al 19° Incontro dei Teatri Invisibili

Tornano i “Teatri Invisibili” come ogni anno, a settembre, da quasi vent’anni, col tempo che cambia e le giornate che s’accorciano e l’estate si fa ripensare, si porge a una meditazione “altra”… Entrare al Teatro dell’Olmo è ritrovarsi, nel piccolo mistero del suo ambito, della sua serietà tutta cittadina, a un appuntamento già storico calato nel tepore ancora vivo della vacanza. Si svolta l’angolo, si riapre una pagina di memoria.
Not here not now, a smentire il “qui ed ora”, a muovere svelti passi nell’”altrove” del teatro, questa volta a confronto con l’arte contemporanea, la body art di Marina Abramovic per l’esattezza.
Andrea Cosentino è stupore dall’inizio alla fine, ironia millimetrale, coreografia di attimi- a –sorpresa, teatro del teatro, clownerie.
Sua la maschera di Marina Abramovic, che vuol dire provocazione estrema, richiamo al teatro come esperienza, in un duello arte-vita che si rincorrono e chiamano lo spettatore a una nuova tensione culturale, quella per cui il corpo dell’attore si fa testimonianza , evidenza tout-court, aldilà di ogni rappresentazione. Perché si smentisca, si sfati la finzione stessa e ci si immetta nel “sangue” di un teatro nuovo, che tinga di rosso la quarta parete, ritrovi il suo odore e grondi vita.
Andrea ci dice tutto questo offrendosi in una rissa d’invenzioni sceniche, che gravitano sul suo corpo elettrico, sui suoi occhi che trafiggono, chiedono, rispondono, esorcizzano, sul suo “esperienziario” intriso di una crudeltà da “enfant tèrrible”, entrando ed uscendo dal nasone di Marina interpretata e “rifatta” con humour sottile in una serie di piccoli video (not here not now), per culminare nell’imitazione della sua voce tradotta da una Barbie, nella “BUA” della performance finale, un harakiri al ketchup, che è il grido dell’arte d’oggi, e che si offre così, self – made, a un pubblico in grado di far rima.

*
Lettura scenica di Achille Campanile al Teatro dell’Olmo

Il teatro si anima, come per un vento funambolico che ne muove le presenze, alita intorno ai costumi colorati dei giovani attori, si disegna nelle loro pose paradossali, in una dinamica speciale che ce ne restituisce la vitalità . E’ di scena Achille Campanile, in “Visita di condoglianze” , “Tragedie in due battute” “Centocinquanta la gallina canta”, “Acqua minerale”, “La quercia del Tasso."
Gli attori, tutti nuovi, si avvicendano ai leggii, animando lo spazio di una recitazione fatta di vivacità estrema, gesti e pose esplosive, voci spiegate a rendere l’umorismo e la surrealtà di Campanile, autore che è stato accostato al francese Ionesco, pur avendo una dimensione tutta sua nei giochi di parole, nella gioia triste e nella tristezza allegra che s’insinua nelle trame strappandoci un intelligente sorriso se non la risata frenetica.
Riconosciuto nei tempi recenti in particolare da Umberto Eco per il suo valore e per la sua unicità, Campanile dà vita ad una scena che la giovane compagnia di Piergiorgio Cinì si adopera a renderci amica, a suscitare in noi un umorismo che la vita ci ha fatto perdere. I testi, pur recenti, ci sembrano spostati in un altrove particolare, e a loro modo ci “spostano”, ci provocano a un’intelligenza della vita che è nuova per i nostri giorni, così come fa parte di un passato che ci siamo lasciati alle spalle, immersi come siamo nel nostro tempo ansioso e “ad una dimensione”.
Campanile, come Max Aub i cui “Delitti esemplari” verranno messi in scena subito dopo, dilata la nostra esperienza delle parole e del presente, immettendovi quel soffio di follia di cui abbiamo bisogno per respirare, per far muovere la nostra personale scena, per “riascoltare” la vita che consumiamo.
Così, il teatro di Cinì torna a sorriderci con la grazia e l’intelligenza che gli conosciamo, a fornirci un’esperienza e una resa attoriale di tutto rispetto; alla sua scuola torniamo a reimparare una possibile “dizione” dell’esistenza.
*
La piccola scena dell’Olmo

Quella del teatro dell’Olmo è una scena senza sipari, dove l’attore è spesso aldilà del tempo reale della rappresentazione, e prima che questa cominci, in uno spazio scenico che abbrevia la prospettiva dello spettatore rovesciandogli le coordinate spaziali ed emotive in una prossimità inedita, sappiamo già qualcosa di quello che deve accadere. Riceviamo cioè, dalla scena che è già offerta nei primi dettagli, immersa, silente e a suo modo sonora, proclamata, un effetto di corposa suggestione e un interrogativo che c’investe, ci chiama oscuramente a farne parte in un vibrante perché.
Oppure dividiamo con queste figure immobili, in attesa che gli spettatori prendano posto sui gradoni del parterre, uno spazio-tempo drammaticamente presente e insieme surreale. E da esso aspettiamo che non tradisca le nostre attese oppure che le tradisca tutte, provocati come siamo dai corpi incantati nell’elegante sortilegio che abbiamo davanti.
A volte basta un suono, un accenno di musica, per spezzare il “prima” da ciò che segue, e liberare l’azione. L’impulso si percepisce netto, materiale, nelle voci che escono “inedite” dalle sagome in movimento, come cellule allo stato nascente, e man mano che la scena va avanti, il linguaggio dei corpi, le sfumature delle fisionomie, i mutamenti dell’umore li percepiamo come in un quadro iperrealista e sono altrettanto eloquenti e spiazzanti, stranianti che le parole. Anzi, la situazione di vicinanza rispetto a chi guarda esce clamorosamente dai canoni, come per un inveramento paradossale causato proprio dal vis à vis con lo spettatore, che è amabilmente travolto dal continuo chiaroscuro di vero-finto-vero che gli si anima davanti. Da qui l’effetto di una scena in più direzioni, che ci spinge oltre, multimediale senza essere mediatica.
Talvolta il perimetro del “palco” è definito volutamente con una striscia quadrangolare di scotch sul linoleum nero del boccascena, ed è un ring dove tutto deve avvenire senza oltrepassarlo, stringato e breve come l’effimero dell’esistenza, paradigma o specchio rovesciato, ispirato fortemente dalla figuratività moderna, come carico di una sua intima aberrazione, creatura autonoma che vive dentro una magica epidermide, anima che ci chiama, dal suo recinto mitico, ad incamminarci sulla sua strada come in una vita che possiamo ancora tentare.

Enrica Loggi

Nessun commento: