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La Maddalena di Carlo Crivelli

 Il brano che segue è tratto dal saggio 

Crivelli e la grazia del Piceno
di Enrica Loggi

 
presente nell'antologia 
Femminile plurale, le donne scrivono le Marche
a cura di Cristina Babino
(Vydia Editore, 2014). 




Aspetto con incalzante tremore-curiosità-suspence la vista del Trittico di Montefiore dell’Aso. Aspetto da Crivelli una sorta di ultima parola, un segno definitivo, un’aureola su questo nostro tempo sospeso a dialogare con la sua povertà. I cammini pittorici di Carlo hanno disegnato nel mio paesaggio interiore la fantasia dell’arabesco, come la storia di un amore perfetto in una corolla di umane vicissitudini.
Il mio viaggio prosegue lontano dalla costa, in un interno che è come un altro modo di stare nella vita, un trapassato remoto  ancora vivo in strade che arrancano sui colli, rasentano aspre vegetazioni, si sporgono su visioni di paesaggi che invitano a una pace. Un sogno fatto di verde cupo percorre queste valli, dove il torrente Menocchia scorre tra folle di pioppi, in un’ansa piccola dov’è silenzio anche il suo mormorio. La strada prosegue nella pianura come in una barca fra colli e paesi irti come prue, crocchi di case intorno ad una chiesa ferma da secoli a guardarsi intorno. Sono immersa e  invasa, dal moto dei tornanti che improvvisamente amplificano il cammino e si smarriscono in labirinti d’erbe selvagge, piccole rupi abitate da cortei di alberi, lontano il mare come uno specchio azzurro, in quest’ora del giorno in cui le piccole alture vedono inarcarsi i raggi di sole rimasti alla giornata.
Il museo si raggiunge attraverso strade antiche, strette  che scendono dalla piazza principale, e immergono in un tempo distante, colore dei vecchi mattoni che vestono le case, tra selciati e piante di fiori vicine alle porte, al  silenzio in cui si va penetrando lentamente.
Sono sola davanti al capolavoro. L’immagine della Maddalena prende tutta la mia attenzione: una meraviglia inaudita.
Nella piccola stanza dal soffitto a capriate, c’è solo un sedile lungo dove mi appoggio sopraffatta da uno stupore  che è come la nebbia disturbata di un ricordo. Aspettavo quest’incontro, perché Lei mi raccontasse di sé qualcosa di ancora sconosciuto. Eccola nel suo millenario silenzio, parlare a chi guarda con l’occhio del profilo sinistro che sembra colto in fallo, smarrito nel disegno perfetto di tutta la testa bionda cerchiata da una coroncina di perle  che scendono sulla fronte, sotto un velo che aleggia sul fiotto dei capelli. Il volto è chiuso in una domanda, che è un invito, un richiamo  a seguire la sua scia ineffabile.
Maddalena, figura del femminile d’ogni tempo, ha questo volto segnato da una memoria innamorata e così custodito coi suoi tratti aguzzi, con la malia del suo eros affidato allo slancio del collo che annega nel corpetto a scoprire l’arcano dei seni, il loro cuore deliziosamente profano. E la veste azzurrina tempestata di decori, il manto retto da una mano guizzante, rosso come immaginiamo sia stato l’amore dei suoi tempi, mentre l’altra mano regge il vaso degli unguenti, come un dono magico, un ritrovato prezioso. La figura sembra accennare a una danza lentissima, o almeno a un avanzare misterioso, da guaritrice segreta: tutto il corpo è una lampada votiva, accesa nei colori scintillanti, carica di delicatissimi chiaroscuri, che la consacrano al suo essere-divenire senza fine sotto la pioggia degli sguardi, compagna dell’errare costante dei nostri passi, della danza che tutti tentiamo, in equilibrio precario.








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