La prefazione di Alceo Lucidi e la postfazione di Massimo Consorti
a "PoesiEnricaLoggi" (I Quaderni di UT, 2016).
Seguono una recensione di Benedetta Trevisani e "Una cosa celeste", poesia tratta dal libro, ispirata al tema "Le Nuvole".
Cara Enrica, è sempre così difficile centrare le parole dei poeti, condensarne lo spirito come se anche noi volessimo coglierne i frutti che con sacrificio e coraggio ci porgono. La nostra epoca distratta ed indocile alle lunghe attese, alle morbide cadenze del pensiero poetico, rivolge lontano, ci strappa bruscamente oserei dire, dalla traccia vibrante e sempre sottesa, pronta ad accoglierci, del sentimento lirico. E’ un dono, penso, la poesia, così come una feconda educazione il prestarsi ad ascoltarla, un “mestiere”, ricolmo di felici tentazioni, a cui ci si abitua con il tempo nell’esercizio paziente e tenace dell’ascolto. Ci sono poeti prestati alla Musa, un po’ per circostanza, un po’ per vezzo, o falso sensazionalismo, un po’ perché folgorati, come me, dal demone della scrittura che ci porta a percorrere o tentare strade espressive diverse, anche le più impervie. Ci sono poi poeti, come te, che senza fragori, nel silenzio della parola precisa e struggente, riversano e concentrano nel dettato lirico un’infinita devozione per il mondo ed il creato, per l’uomo, più ancora, questa strana ma straordinaria creatura, che vive, prima ancora che di atti, di sentimenti. Sono i poeti del canto armonico e tornito, delle tonalità intensissime e cristalline, delle immagini chiare e struggenti che fermano attimi di vita imbevendoli di nostalgia e dolcezza, mai di amarezza e sconforto. E’ la grandezza della poesia vera, che in pochi frammenti di vita, lenisce e riscatta, rigenera e riabilita. La poesia come slancio esistenziale in grado di contrapporsi allo sgretolante grigiore del mondo, annettendo nelle sue corde la fede nell’uomo non disilluso ma animato dalla speranza, non abbattuto, ma, seppure ferito, capace di ricordi, di emozioni che possono vincere l’annichilente logica del mondo abbandonato all’egoismo o al tedio, all’incapacità di guardare all’altro da sé con occhi diversi, all’accidia morale, che, forse, è il più grande male della nostra epoca. Grazie Enrica, perché in ogni tua lirica metti sempre pillole di amore, di dedizione alla parola, carezzevoli note di alloro, tra pianto e sorriso, che s’intrecciano all’intera partitura dell’umano sentire con nitido candore.
(Alceo Lucidi)
*
Il Quaderno di poesie di Enrica Loggi per tutto il mondo di UT è una festa. Una idea cullata, protetta e coccolata come fosse una gestazione difficile, iniziata qualche anno fa oggi è una realtà; un sogno che si è avverato per chi l'ha avuta, un modo di porsi e di essere di tutta la redazione che l'ha sostenuta.
Cara Enrica, è sempre così difficile centrare le parole dei poeti, condensarne lo spirito come se anche noi volessimo coglierne i frutti che con sacrificio e coraggio ci porgono. La nostra epoca distratta ed indocile alle lunghe attese, alle morbide cadenze del pensiero poetico, rivolge lontano, ci strappa bruscamente oserei dire, dalla traccia vibrante e sempre sottesa, pronta ad accoglierci, del sentimento lirico. E’ un dono, penso, la poesia, così come una feconda educazione il prestarsi ad ascoltarla, un “mestiere”, ricolmo di felici tentazioni, a cui ci si abitua con il tempo nell’esercizio paziente e tenace dell’ascolto. Ci sono poeti prestati alla Musa, un po’ per circostanza, un po’ per vezzo, o falso sensazionalismo, un po’ perché folgorati, come me, dal demone della scrittura che ci porta a percorrere o tentare strade espressive diverse, anche le più impervie. Ci sono poi poeti, come te, che senza fragori, nel silenzio della parola precisa e struggente, riversano e concentrano nel dettato lirico un’infinita devozione per il mondo ed il creato, per l’uomo, più ancora, questa strana ma straordinaria creatura, che vive, prima ancora che di atti, di sentimenti. Sono i poeti del canto armonico e tornito, delle tonalità intensissime e cristalline, delle immagini chiare e struggenti che fermano attimi di vita imbevendoli di nostalgia e dolcezza, mai di amarezza e sconforto. E’ la grandezza della poesia vera, che in pochi frammenti di vita, lenisce e riscatta, rigenera e riabilita. La poesia come slancio esistenziale in grado di contrapporsi allo sgretolante grigiore del mondo, annettendo nelle sue corde la fede nell’uomo non disilluso ma animato dalla speranza, non abbattuto, ma, seppure ferito, capace di ricordi, di emozioni che possono vincere l’annichilente logica del mondo abbandonato all’egoismo o al tedio, all’incapacità di guardare all’altro da sé con occhi diversi, all’accidia morale, che, forse, è il più grande male della nostra epoca. Grazie Enrica, perché in ogni tua lirica metti sempre pillole di amore, di dedizione alla parola, carezzevoli note di alloro, tra pianto e sorriso, che s’intrecciano all’intera partitura dell’umano sentire con nitido candore.
(Alceo Lucidi)
Il Quaderno di poesie di Enrica Loggi per tutto il mondo di UT è una festa. Una idea cullata, protetta e coccolata come fosse una gestazione difficile, iniziata qualche anno fa oggi è una realtà; un sogno che si è avverato per chi l'ha avuta, un modo di porsi e di essere di tutta la redazione che l'ha sostenuta.
Dare l'avvio a una “collana editoriale” in questi tempi
magri e aridi, non può essere considerata solo una scommessa ma una vera e
propria rivoluzione fantastica che poteva avere inizio solo dentro le mura
decennali (e un po' sfrontate) di UT.
Non a caso “l'inizio fu Enrica Loggi”. Non a caso a mettersi
in discussione, a fare l'apripista di questa nuova avventura è la nostra
poetessa regina, colei che vede il mondo con gli occhi di un'artista che fa
della profondità delle sue emozioni il messaggio da lasciare ai posteri.
Timida, riservata, chiusa nel suo mondo di versi, Enrica
rappresenta per molti aspetti l'anima gentile di UT, un mondo eterogeno
composto dai caratteri più diversi e a volte contrapposti dei componenti la
redazione. E questa è la vera ricchezza di una rivista unica nel suo genere.
In questo Quaderno, Enrica Loggi ripercorre gli anni di
scrittura per UT, prima da collaboratrice esterna, poi da redattrice per la
poesia. Sono ventiquattro composizioni e un poemetto inedito che, tema dopo
tema, bimestre dopo bimestre, offrono il quadro di come UT in questi anni si
sia aggiornata, modificata, cambiato pelle ma non sostanza. Di come abbia
anticipato temi che poi sono entrati con prepotenza nella nostra vita di tutti
i giorni e di quanto il valore profetico, che solo la cultura vera si porta
appresso, sia stato per tutti noi un principio e non un vezzo, un traguardo e
non una tappa. Tradotto significa: leggere la realtà per pensare al domani e
guai voltarsi indietro.
La raccolta antologica che compone questo Quaderno n. 1,
curata dalla stessa poetessa e da Roberto Tamburrini, trova il suo
completamento nel progetto grafico del nostro art director, quel Francesco Del
Zompo che a UT ha dato un corpo apprezzato ormai a livello nazionale e
internazionale e che nella cura artigianale del prodotto editoriale finito, ha
espresso tutto il suo potenziale non solo professionale ma anche artistico e
umano.
La speranza è che al numero 1 segua il 2, il 3 e così via,
perché il nostro desiderio di autori e di lettori è che l'amore per la carta e
per la lettura trovi qui una conferma alle esasperazioni di connessioni lente o
assenti, un mondo che cerchiamo di “governare” per non esserne travolti, ma che
non renderà mai il piacere di pagine da scorrere e voltare come fossero momenti
della nostra stessa vita.
Il Quaderno n. 1 di UT non è quindi solo una pubblicazione,
ma un vero e proprio atto di coraggio e d'amore per gli oggetti belli e
pensanti, quelle cose che appagano la vista, solleticano il tatto e rendono il
cuore leggero.
(Massimo Consorti - Direttore di UT)
*
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(Massimo Consorti - Direttore di UT)
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Per testimoniare la poesia di Enrica Loggi in questa sua
ultima opera che s’intitola “PoesiEnricaLoggi”, realizzata per UT, rivista
d’arte e fatti culturali, 2012-2016, ho scelto “Per mia madre”, una tra tante.
Non l’ho scelta perché sia la prima e quindi apra in maniera significativa
tutto l’armonioso percorso poetico delineato in questo raffinato Quaderno. L’ho
scelta perché ha subito evocato, ad una mia prima lettura, immagini e figure
che mi appartengono coinvolgendomi in un sentimento condiviso per una madre, ma
anche per una nonna, che in quelle particolari atmosfere tra terra e mare io
posso riconoscere. Ma poi per me riaffiora da quel mare anche lo Shakespeare de
La tempesta che fa dire ad Ariel: “Cinque tese sott’acqua/ tuo padre si giace;/
si son fatte sue ossa/ coralli di brace;/ sono gli occhi d’allora/ perle
chiare./ Nulla di lui v’è ancora/ votato a rovina,/ che non subisca stupenda/
trasformazione marina”. Ecco dunque come la poesia di Enrica apra gli orizzonti
– fisici e letterari – del suo mondo, tessendo tele di parole capaci di
rappresentare oggetti e aspetti di un paesaggio esteriore che porta il segno di
una interiorità profonda ma mai autoreclusa, perché sempre disposta ad aprirsi
ai colori della vita per comunicare visioni e sentimenti da condividere. E
incontriamo allora “I colori del poggio” dove le pietre, il cielo, le erbe
sconosciute, il mare verde su azzurro diventano una sinfonia paesistica di
grande delicatezza rappresentativa. A partire da lì si snoda un percorso
poetico scandito di pagina in pagina da un tema dato (Il distacco, La
fragilità, L’indiscrezione, Il desiderio, etc.), cui Enrica corrisponde con la
sua sensibilità capace di cogliere il respiro della natura e lo scorrere del
tempo nella dimensione del ricordo che riattualizza con gli oggetti (una veste
nera, un cassetto e nel cassetto un esuberante gorgo di cose naufragate, un
kimono) i momenti di quella che per lei è stata “una fiaba per giorni di
fanciulla/ vestita con le piume dei gabbiani” (L’ebbrezza).
Nella seconda parte del Quaderno troviamo il “Poemetto della neve”, dedicato alla sorella Marisa cui la legano memorie e sensazioni condivise, come “questo amore di mandorla amara/ un frutto che pende dall’albero/ nell’avversa stagione”. La neve è il simbolo di purezza e di fragilità, di bellezza labile come le trine di un merletto che lascia tracce leggere sull’impiantito della piazza. Scrive Enrica: “Così ti ho pensata, nella tua casa/ a reggere questa coperta ruvida/ e candida della tua vita, lenta, fragrante./ Tu sei di neve, io ti sono accanto.”, per giungere infine ad un distico asciutto e conclusivo: “Porto con me la modestia del tuo sguardo/ la neve tra i tuoi capelli rossi”. E questa è la Marisa che anche noi del Circolo abbiamo conosciuto.
Nella seconda parte del Quaderno troviamo il “Poemetto della neve”, dedicato alla sorella Marisa cui la legano memorie e sensazioni condivise, come “questo amore di mandorla amara/ un frutto che pende dall’albero/ nell’avversa stagione”. La neve è il simbolo di purezza e di fragilità, di bellezza labile come le trine di un merletto che lascia tracce leggere sull’impiantito della piazza. Scrive Enrica: “Così ti ho pensata, nella tua casa/ a reggere questa coperta ruvida/ e candida della tua vita, lenta, fragrante./ Tu sei di neve, io ti sono accanto.”, per giungere infine ad un distico asciutto e conclusivo: “Porto con me la modestia del tuo sguardo/ la neve tra i tuoi capelli rossi”. E questa è la Marisa che anche noi del Circolo abbiamo conosciuto.
Benedetta Trevisani
(Recensione pubblicata su “Lu Campanò”, giornale del Circolo
dei Sambenedettesi)
*
Una cosa celeste
E’ una cosa celeste navigare
su per il cielo dove si distende
e inginocchia la nuvola tardiva
che rosseggiava al sole, verso sera.
Quiete onde di luce, si travestono
e si fingono stelle, anzi parole.
Sulle labbra del giorno con la luce
un mantello prosegue la sua corsa
lassù dove comincia la pioggia
e batte il cuore sopra orme d’ulivi.
Ho raccolto visioni per la strada,
rincorse in una febbre settembrina
che rintracciava i cori dell’azzurro
e larghe schiume bianche già dicevano
addio al giorno fuggito nella sera
ed un arrivederci a quello nuovo
che si ripete in alto, alla canzone
vaga e selvaggia carica di ombre
baluginii, fantasie di rara veste…
Le nuvole, nel cielo che è celeste.
su per il cielo dove si distende
e inginocchia la nuvola tardiva
che rosseggiava al sole, verso sera.
Quiete onde di luce, si travestono
e si fingono stelle, anzi parole.
Sulle labbra del giorno con la luce
un mantello prosegue la sua corsa
lassù dove comincia la pioggia
e batte il cuore sopra orme d’ulivi.
Ho raccolto visioni per la strada,
rincorse in una febbre settembrina
che rintracciava i cori dell’azzurro
e larghe schiume bianche già dicevano
addio al giorno fuggito nella sera
ed un arrivederci a quello nuovo
che si ripete in alto, alla canzone
vaga e selvaggia carica di ombre
baluginii, fantasie di rara veste…
Le nuvole, nel cielo che è celeste.
Poesia premiata al concorso "Note di Rinascenza" (aprile 2019), a cura dell'Associazione Culturale Rinascenza e della Casa Editrice Di Felice Edizioni.
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