------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

racconti



daE.Loggi “Crivelli e la grazia del Piceno” in “Femminile plurale. Le donne scrivono le Marche" (Vydia Editore, 2014)

[…] "Aspetto con incalzante tremore-curiosità-suspence la vista del Trittico di Montefiore dell’Aso. Aspetto da Crivelli una sorta di ultima parola, un segno definitivo, un’aureola su questo nostro tempo sospeso a dialogare con la sua povertà. I cammini pittorici di Carlo hanno disegnato nel mio paesaggio interiore la fantasia dell’arabesco, come la storia di un amore perfetto in una corolla di umane vicissitudini.
Il mio viaggio prosegue lontano dalla costa, in un interno che è come un altro modo di stare nella vita, un trapassato remoto  ancora vivo in strade che arrancano sui colli, rasentano aspre vegetazioni, si sporgono su visioni di paesaggi che invitano a una pace. Un sogno fatto di verde cupo percorre queste valli, dove il torrente Menocchia scorre tra follie di pioppi, in un’ansa piccola dov’è silenzio anche il suo mormorio… La strada prosegue nella pianura come in una barca fra colli e paesi irti come prue, crocchi di case intorno ad una chiesa ferma da secoli a guardarsi intorno. Sono immersa e  invasa, dal moto dei tornanti che improvvisamente amplificano il cammino e si smarriscono in labirinti d’erbe selvagge, piccole rupi abitate da cortei di alberi, lontano il mare come uno specchio azzurro, in quest’ora del giorno in cui le piccole alture vedono inarcarsi i raggi di sole rimasti alla giornata.
Il museo si raggiunge attraverso strade antiche, strette        che scendono dalla piazza principale, e immergono in un tempo distante, colore dei vecchi mattoni che vestono le case, tra selciati e piante di fiori vicine alle porte, al  silenzio in cui si va penetrando lentamente.
Sono sola davanti al capolavoro. L’immagine della Maddalena prende tutta la mia attenzione: una meraviglia inaudita.
Nella piccola stanza dal soffitto a capriate, c’è solo un sedile lungo dove mi appoggio sopraffatta da uno stupore  che è come la nebbia disturbata di un ricordo. Aspettavo quest’incontro, perché Lei mi raccontasse di sè qualcosa di ancora sconosciuto. Eccola nel suo millenario silenzio, parlare a chi guarda con l’occhio del profilo sinistro che sembra colto in fallo, smarrito nel disegno perfetto di tutta la testa bionda cerchiata da una coroncina di perle  che scendono sulla fronte, sotto un velo che aleggia sul fiotto dei capelli. Il volto è chiuso in una domanda, che è un invito, un richiamo  a seguire la sua scia ineffabile" [...]

*

da: E.Loggi "Fortuna" in "San Benedetto città del mare" (Maroni Editore,1998)


[…] "Era tutto piatto. Dalla marina ai colli magri seguendo un declivio lentissimo, inesistente. Il velo del sole si disseminava tra le stradelle e il sale profumava i limiti delle case basse, basse come il mare che in fondo ha un letto largo più di metà del mondo e dorme, si alza, chiama. La terra piatta era di sabbia appena concreata con le pietre aggiunte a solco o sparse. Tra le case vicine c'era questa vastità di humus friabile, il suo mentire l'acqua. Scendeva costantemente una dolcezza d'elementi come il dono di esistere e dire che si fa altro, ben altro: si fatica. Si rattoppano reti, vesti, barche s'impeciano in una specie di rogo, le cerimonie sono lente e fruste, chi partecipa fa quello che fa, felice è il mare che conosce ogni cosa, mangia beve sogna rigurgita restituisce ripara quello che ha a suo tempo potuto distruggere. Tutte le anime del borgo hanno là il loro nido. Soffiano le loro tempeste, recitano minutamente, s'adunano, si scompagnano.
Io non saprei ricordare. Sono qui che mi muovo a ridosso del muro del porto, seguo i tubi a volute che portano nafta. La vastità non ha un particolare sorriso e cerco questa parete ( una lapide con molte lettere cadute, qualche nome sprofondato nell'acqua ). Accarezzo le grosse teste degli ormeggi, sono nani, chiodi, matrioske tutte uguali, con o senza la fune che va nella barca a motore e poi dondola e dorme. Le barche dormono sempre, con uno o due occhi. Qui dicono sempre di sì, perchè si fa la corda con la barca, che se fosse senza questa lingua allacciata andrebbe ad annuire da un'altra parte, questa volta sulla groppa dell'acqua come un cavaliere senza mente.
E quando si spostasse più in là, imboccando la prima gola di mare per dove si va e si ritorna, tra i due corni dei moli, sarebbe avvolta dall'Elemento restando pur come un cigno nella momentanea palude, senza che alcuna corrente le presti serio ascolto."
[...]


Nessun commento: