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31/03/13

Riflessioni di Massimo Consorti su "...A una rima di vento"


La mia canzone è una foglia nel vento...Enrica Loggi è inaggettivabile, incollocabile, non inquadrabile né in stili né in contesti. La sua è poesia pura, quella che, raffinata come un punto di tombolo, entra dappertutto grazie all’esilità e soprattutto a una sinuosità che diventa vortice. Iniziare a parlare di “...A una rima di vento”, ultima raccolta di versi di Enrica Loggi (Corymbos Poesia, Edizioni Polistampa), con parole tratte da un film, non deve apparire né bizzarro né controcorrente perché all’andare “oltre”, al navigare “controcorrente” ci pensa la poetessa: “...tutto sembra/bruciare in un istante questa noia/che portano le ore ferme/al pianto delle città/...).
Perché lontana anni luce dalla facile oleografia di versi composti per attrarre, Enrica Loggi graffia con unghie coperte di velluto. “Veniamo qui per confonderci nel vento”, scrive. E si schiude un orizzonte che affascinerebbe anche chi la poesia non l’ama, non la comprende, la orpellizza come i sentimenti poveri delle statue di sale.

Nelle immagini di Enrica Loggi il vento spira, gli alberi e le foglie ne assecondano il verso, nord o est fa lo stesso perché nel vento tutto si spiega, non solo le vele delle barche del suo mare ma anche i sentimenti e le sensazioni di anime niente affatto pacificate. Contrariamente a quanto appare, Enrica Loggi non è la poetessa dei voli puramente poetici, puramente letterari ma è molto di più è “come una notte breve che balena/mentre vegliamo accanto al nostro sogno”, perché se sembra facile o difficile sognare, diventa impossibile il vegliargli accanto, una bella sfida soprattutto con se stessi.

Della poetessa di San Benedetto del Tronto abbiamo sempre apprezzato i toni con i quali compone stati d’animo/sensazioni/emozioni, sembrano pennellate di parole e a noi, le parole sono sempre piaciute, anche se solo quelle con un senso, delle altre non sapremmo che farcene. Da esploratrice attenta della propria anima, Enrica Loggi adopera le parole come in un rito magico, le miscela, le compone, a volte le sfibra e le modella per fargli assumere quel significato, in quella frase, che diventa movimento sinfonico, un andante con brio o un andamento lento, e cattura lo spirito mai quieto che “Era un battito di cuore in fuga/nell’opaca chiarità delle mattine/invernali quando si tormenta/il mare che porta i tronchi sulla riva/distesi tra conchiglie rotte/...”.

Scrive Enrica Loggi: “I poeti sono soli/col loro inverno/le scarpe bianche per uscire la domenica/le ali stropicciate/Mentre piove grigio/e le ultime biciclette/lasciano scie di pioggia sull’asfalto/si alza il cuore dei poeti/e chiama il cielo/”. Spesso la solitudine dei poeti è la nostra solitudine e non c’è nessuna posa tardo romantica in quello che è, e resta, l’unico approccio possibile per una vita impossibile: volare nell’immenso. Anche su quello della tristezza.

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