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18/04/17

Il colore della poesia


Le mie note a proposito della mostra "Il colore della poesia" di Emidio Mozzoni e Miriam Pasquali (in corso al Centro Pacetti di Monteprandone).




L’arte di Emidio Mozzoni è un perenne, variopinto e multiforme dialogo con il Creato: una mite protesta, che si traduce in durevole invocazione rivolta alla materia elementare (e per questo più preziosa), delle sue composizioni. Quanto viene costruito, descritto, assemblato in un atteggiamento interrogativo rivolto alla Natura, tra le spine di quanto è sofferto, torna a parlare un linguaggio d’amore. L’incredibile, direi sovrumana pazienza consiste nell’adoperare materiali minimi, raccolti tra le creature vegetali: piccoli rami, foglie, sassi amorevolmente adoperati a ricostruire un universo dove non si perda nulla, dove il lungo racconto diventa, a perdifiato, una canzone. Ciò che viene usato diventa un alfabeto a sé stante, duttile come una parola nuova, sussurrata, invocata, trascritta in una sorta di racconto biblico, dispiegata tra l’umiltà dei materiali che diventa splendore nelle foglie-oro con cui, ci dice Emidio, si celebra e festeggia la materia del suo dipingere.
L’Artista vive la sua purezza nella mite accusa fatta all’uomo che distrugge i frutti, i semi, i linguaggi, la bellezza che la Natura gli dona. La sua mano si muove insieme a una meditazione estrema, millimetrale. Il suo Tempo si traduce prezioso e umilissimo insieme.
Corona queste espressioni pittoriche, un brillio di forme che descrivono a volte dei profili di città luminosissimi, un vero Inno alla Vita che non vuole abbandonare il nostro sguardo, anzi spera di farsi essa stessa Paradiso, là più dove l’uomo è fallace.
Porto con me questa parola impressa, riscattata, innalzata in geometrie duttili e in piccoli mondi che raggiungono chi guarda con mille domande, e una risposta sola: Omnia vincit amor.

Enrica Loggi


Cara Miriam,
mi sono lasciata avvincere e trasportare dalle tue tele che ritraggono i fiori, ed altre sentinelle di una tua esclusiva, smagliante passione, trascritte con una cura da amanuense nel corpo del quadro. Il loro candore, come un soffio diafano, ha il coraggio tuo di esprimere un dato essenziale, di trascrivere il cuore dell’immagine che sembra quasi evocata magicamente, nel colore acquerello, o nel pastello che fedelmente seguono i profili delle tue “Still Life”.
In esse quasi t’immedesimi lasciando che queste creature policrome siano un tuo aereo ritratto, il tuo respiro, la tua contemplazione sincera e devota della impalpabile realtà che magicamente, proprio nella fedeltà tu trasfiguri e lasci che chi ti guarda entri segretamente e poeticamente (è così che tu ci accogli) nelle evocazioni di presenze che hanno un volto che oggi si trova raramente. E per questo si sono lasciate amare, meditandole e rispondendo al forte richiamo della Natura, della Vita, che minuziosamente raffiguri. Ma c’è in te uno slancio, un coraggio particolare: quello che trova nella semplicità la sua forza, e si ferma in un pronunciamento delicato ma stabile, vitale, nella vocazione di offrire il colore e a volte la perfezione dei temi. C’è in te quasi una risposta a una preghiera: quella che celebra l’erba dei prati, le cromie di un paesaggio raffigurato in più vesti, e di volta in volta il procedere della sua finezza, che è quella del tuo cuore, e di una fedeltà riposta nel colore a volte evanescente, come un sospiro, come la forma elementare di un sogno ad occhi aperti.

Enrica Loggi


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