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05/04/12

Dedicato a Stefano Taffoni


Disteso microcosmo

Nel silenzio di un pomeriggio ho trovato alla sala da tè più antica di San Benedetto, nel cuore del quadrilatero disegnato dalle stradine del centro, e in un altro cuore che è il perimetro quadrangolare della sala stessa, composta tra tavoli liberty e luci soffuse, l’arte di Stefano Taffoni affidata a quadri fotografici disposti alle pareti. La natura delle immagini in mostra era in armonia con l’atmosfera della sala, con le musiche che si susseguivano a sfumare il silenzio di un’ora precedente l’afflusso dei frequentatori, e i quadri si facevano cercare, più che mostrarsi o imporsi, per i colori discreti e per la loro natura figurale così vicina al tono di quell’ora.Superfici dai colori insoliti, che velavano il proprio significato nel modo di disporsi delle immagini,ottenute in maniera tecnicamente inedita, ricavate da un’osservazione millimetrale di particolari materici.La forza di queste immagini sta nell’aver proiettato l’estremamente piccolo, lo scarto, su grande scala , con un atteggiamento rabdomantico, per cui il Fotografo diventa quasi un evocatore di forme, di sigle pittoriche, in una gestalt di estremo gusto, dove ritroviamo quasi la felicità di una scoperta scientifica. La materia ha mille volti, può mostrarsi azzurra, rossa, gaiettata, e l’immagine felice di essa è un luogo ritrovato, la sostanza di una visione, la sua alchimia. In un cammino all’inverso, i cieli, i paesaggi astrali, le forme pittoriche di Stefano erano semplici lamiere. L’occhio fotografico si è inoltrato in un’apparente non-significanza (il silenzio della materia) per rivelare la presenza, in essa, di un potenziale visionario senza limiti. Escono così dall’obiettivo costellazioni, paesaggi informali dove l’immaginazione può liberamente avventurarsi, entrare nel terreno di un’autentica meditazione , e riposare nel suo mistero come in un altro sguardo, esplorarne la cifra della meraviglia.Ho a lungo interrogato le superfici del disteso microcosmo con cui Stefano, da un silenzio quasi astrale, si offre alla nostra capacità di meditare, e ne è derivato un incontro, un arcano richiamo a ritrovarsi in una pace diversa, lontana da qualsiasi clamore, sul terreno di un fervido e multilingue enigma che non s’impone, ma si scioglie con garbo rimandando alla pittura , a un’astrazione che disinteressatamente ci propone un cammino, una ricerca dell’altrove, un affascinante punto di fuga.

Enrica Loggi

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