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14/04/13

Galleria Opus di Grottammare: incontro letterario con Maria Lenti


Un pomeriggio di grande interesse e intensa partecipazione, ieri, alla presentazione dell’ultimo libro di Maria Lenti “Effetto giorno”, Ediland Edizioni, San Benedetto del Tronto, 2012.
La poetessa e scrittrice urbinate è stata introdotta dal poeta e critico Giarmando Dimarti, il quale, con la sua consueta abilità interpretativa, ha individuato nella “speranza” l’imperativo categorico sotteso alla raccolta e nel neoumanesimo, nella tensione morale, nella vocazionalità all’altro, il carattere degli scritti lentiani, che spaziano dalla politica alla letteratura, alla scuola, al cinema (da cui il titolo che richiama il titolo italiano de La nuit américaine di Francois Truffaut).
“Le parole chiave del libro – ha precisato Dimarti – sono: libertà, ascolto, coraggio, tolleranza, dialogo, transizione.
Un libro, in sintesi, appassionato di chiarezza e verità, che trascende l’odierno impasse esistenziale e ci esorta all’agire senza alcuna riserva, perché noi siamo unicità relate e come tali necessariamente sussidiarie”.
Maria Lenti, dal suo canto, si è soffermata a lungo sul “senso del ricominciare”:
“Una cosa che è molto mia è il senso del ricominciare, tenendo conto della libertà di ciascuno, ma anche del dialogo con l’altro, dell’ascolto con l’altro: una vocazionalità allo stare insieme, che è fondamento della politica. Fare politica è per me anche scrivere, insegnare, anche senza parlare dei partiti o della politica, perché è la considerazione della “polis”, cioè di quello in cui noi siamo immersi, che è la società, la città, il contesto. Stare insieme per riuscire a capire – insieme – da che parte si possa ricominciare.
Ricominciare tenendo conto di quello che noi abbiamo come esperienza e di quello che non abbiamo più e che non tornerà.
Quale possibilità abbiamo? O star dietro a ciò che non è più – e quindi non fare nulla – oppure dire, forti di un bagaglio personale, collettivo, storico, culturale, e basandosi sulle nostre intelligenze, sulle nostre possibilità: ricominciamo da un punto!”


L’incontro con Maria ci trasmette così il senso del non chiudersi al mondo, del dar vita ogni volta al mondo e alle cose del mondo.
Avevamo bisogno del contatto con questa voce importante della letteratura contemporanea, per ricordare a noi stessi che la poesia è “fare pensiero”, trasformare “i solchi in ponti, con il dialogo” e la cultura è “capacità di leggere il mondo”, parole appassionate di Maria Lenti, che abbiamo sentito particolarmente viva e vicina, nella ricchezza del suo affabulare che è sempre un “fare il punto”, accamparsi come voce nella difformità culturale dei nostri tempi.

Enrica Loggi


06/04/13

Il nuovo libro fotografico di Rita Vitali Rosati


“La passiflora non è una passeggiata en plein air”

Questo il titolo, tra dramma e ironia, del nuovo libro fotografico di Rita Vitali Rosati ( Vanilla Edizioni, Marzo 2013 ). Oltre ad essere un saggio delle facoltà dell’immagine, viste nel loro ricco ventaglio, questo libro è un omaggio alla poesia.

Le fotografie di Rita, legate al tema del fiore come metafora dell’esistenza, vita e arte congiunte, bellezza che si attarda fino alla voce del decadimento, si alternano fino all’ultima pagina a descrivere le passioni, l’umana nostalgia simbolica di ciò che il fiore stesso, dopo un breve trionfo di colori e di effervescenze, percorre fino al limitare della sua fine. Ma è una morte dolce come quella che vediamo nelle “passioni” del Rinascimento, un commento non compiaciuto ma disteso a raccontare le fibrillazioni della vita nei drammi della sua fatiscenza e con un istinto che è quello della contemplazione fino a un borderline di misericordia.

Immagini di spose che reggono immote bouquets floreali sull’orlo del disfacimento, eppure portatrici instancabili del demone della bellezza. “Fanciulle in fiore” colte nell’abbandono alle sirene del proprio destino. Braccia bendate che reggono tulipani come bandiere. Corolle che occhieggiano, sfacendosi come parole di commiato. Sono, queste sequenze, un assonare fitto, orchestrato, coi versi poetici che l’Autrice ha amorosamente raccolto, proponendo agli autori delle poesie i suoi temi.

Ed ecco voci come quelle di Eugenio De Signoribus, Alessandro Moscè, Franco Loi, Francesco Scarabicchi, Maria Lenti, Anna Buoninsegni, Paolo Ruffilli, Gianni D’Elia, Maria Grazia Maiorino, Remo Pagnanelli, Guido Garufi, Nicola Monti, Natalia Thacyk, Bianca Varela, Enrica Loggi, pronunciarsi su questo suo canovaccio variegato e tremulo, appassionante ed evocativo, descritto magistralmente da Paolo Nardon nella prefazione, e commentato alla fine dall’inconfondibile Guido Garufi.

Il libro è un coro di rimandi iconografici e parole che sembrano altrettanti steli e corolle, tentativi di spiegarsi di fronte all’ineffabile, e così di diventare fioriture lungo la strada, germogli delle stagioni, silenzi di paesaggi, assenze, meditazioni della vita specchianti la morte come un floreale passaggio in un quadro di dolcezza.

Le poesie, quindici in tutto, trovano una veste grafica inedita, mista di colori e pause del tutto nuove nei caratteri di stampa, entrando a far parte del fasto delle immagini che invadono la pagina ampia, distesa in una specie di esuberante ospitalità all’eco delle parole.

Rita Vitali Rosati ha portato anche in questa, che è un’opera, le sue tematiche che investono di classicità la sua proverbiale e nota ironia. Questa volta ha voluto sorprenderci con un lavoro generoso che non solo raccoglie l’orfanezza del dire poetico ma lo lancia in una prospettiva di eloquenza, di visibilità coinvolgente, assoluta.

La poesia deve molto a questa maestra della Fotografia, alla sua arte che ha diviso con le parole dei poeti, da lei vagheggiate da sempre, nella passione che si esprime e vince la mortalità del dire.

Enrica Loggi


02/04/13

"Il tempo della poesia" di Michela Solimando


C’è chi del tempo ne fa oro e chi, invece, poesia.

"…A una rima di vento" versifica un sentimento di colei che rende il tempo udibile e visibile su carta.

I versi di Enrica Loggi sembrano descrivere una realtà che, per il suo naturale essere, da sola non si racconta ma nemmeno si cela; si apre a tutti e nuda utilizza l’essere umano, quasi a volerlo prendere in giro. In questo caso la realtà si mimetizza nell’autrice, per farsi descrivere nelle sue più intime differenze, per farsi vestire delle vesti più belle e/o umili lasciandola però libera di interpretarla o, forse, di costruirla.

È questo che poeticamente leggo tra le rime di Enrica Loggi: un richiamo alle sue memorie attraverso versi che scandiscono spazi “liberi”, dissociati dal tempo osservatore e risanatore. Ma pacatamente rasserenata e alle volte anche rassegnata all’inevitabile sua esistenza a cui il cuore si presta ritmandola con il vissuto: «C’è una parola che non so più dire / e vive negli istanti / colorata di tempo / stretta / a una rima di vento. // Ma in primavera tornano sui rami / le coroncine verdi, / ed anch’io a raccontare». (p. 16)

«…poetessa che conosce la differenza tra comunicazione e espressione» scrive in exergo di …A una rima di vento Franco Manescalchi.  Aggiungo una poetessa che riesce a trasfigurare uno sguardo emotivo in versi razionalmente poetici, che rimandano alla vita che appartiene ad ognuno così come lei, poetessa, appartiene a questa vita.  E, pertanto, non vi sono rimandi al mito, se non a quello della vita, che sempre ognuno ha da decodificare.
Cosa non semplice, perché la vita ha le sue oscurità e il suo fermo-immagine.  Il narrare della Loggi ricorda il pause di una tecnologia che gioisce del presente perché pregno di un passato che sta per nascere e speranzoso di un dispiegarsi di un nuovo futuro.

Trema l’immagine evocata dalla sua liricità, come è propria dell’immagine fermata di un video: oscilla nell’indecisione di un passato da raccontare  ( "Raccomando alla sera queste fole" ) e di un futuro da vivere   "…e canterò la luce del tuo dire nel mio precipitevole disire." (p. 15)

Tra una pagina e l’altra, nel susseguirsi delle poesie, un commiato di sensazioni: da un concedersi all’amore altrui alla ricercata, quanto necessaria, solitudine poetica:  "Io sono qui, / tra il sole e la neve." (p. 80)


"Enrica Loggi in tenero distacco" di Maria Lenti


Tentare il senso del titolo (…A una rima di vento di Enrica Loggi): il gioco nell’enigma.

Virato e posto sull’astrazione di una figura: “rima” come refolo, soffio, alito? “vento” come scombinata possibilità o scompigliata probabilità? “rima di vento” come andamento giocoso in chiaroscuro, come flusso di energia duplice e concreta? E quella “a” preceduta da sospensione: una dedica? un pensiero in catena ma in folle tenerezza?

I testi poetici – alonati di vaghezza, fissati dall’autrice picena su stilemi, già ricorsi in raccolte precedenti, con variazioni (luna e suoi addentellati, acqua e suoi referenti, sole e sua luce di riscatto, foglie/alberi di intenso simbolismo, amore/amicizia/sodalità-unica salvezza al mondo-, solitudine/sola beatitudine nel deserto della città, l’estate-stagione solare, ecc.) –, se chiariscono le prensioni, restituiscono lo slittamento da esse.

Nel distacco tra i due termini si situa la poesia di Enrica Loggi: in un terreno le cui sporgenze – la fine delle cose, la vita che ti “frega” anche saltandoti e accelerando i passi, le assenze numerose e in progress – rientrano in interiori animi a cercarvi ciò che resta, meglio ciò che mai se ne è andato; in un ambito che non “tradisce”, essendo quello proprio di un sentire finissimo; in una distanza non sibillina, significativa, dalla storia minuscola e grande per ricaptare le urgenze feriali – il sabato del villaggio improponibile al proprio sé –, un abbraccio improvviso non sotto l’impulso della gratitudine quanto dell’affetto, la scoperta ripetuta del fiore che sale, l’incontro di un corpo forse non “gemello” eppure caldo di reciprocità.

Così, per esempio e passim:
«Mi raccolgo nel letto della foce /il fiume va tremando verso il mare / sola come la sera dei miei giorni / l’estate padrona di me.»

«L’assolo pungente della storia / le minuzie di vita. Resta il canto / questo piccolo affanno / di gesti quotidiani, averti stretto / a me nelle abitudini del cuore, / la prosa che si tesse / nell’assolato labirinto / per uscire alla luce , appena salvi.»

«Sono qui sola e parlo / con gli ultimi fantasmi delle ore / ma raccolgo il loro merletto / scendendo i gradini della sera.»

«Il vento che si piega sui germogli / il verde giovane dove indovini / la prima età del grano, e un giorno arduo / ma capace di gioia sotto il sole, / il vento in una raffica gentile.»

Vive in suo tempo di sogno e di sogni, la poesia di Enrica Loggi, o tende a sfidare quel tempo e il nostro di prosa? Il rischio del fermo-immagine nella voce, mai contaminata dal presente poco attraente e risuonante nella inversione sottesa, potrebbe determinarsi o farsi ad ogni momento.
Consapevolmente, tuttavia.

Mala tempora currunt, lo so, sembrerebbe dire silenziosamente la poetessa. L’accenno, infatti, è in spostamento, mentre situa tonalità e cadenza dentro una sorta di passione per la luce dell’esistenza, mai spenta, in una serenità da eco classica (per misura e timbro) e in una sorta di desiderio di essere dove non si trova (non nominandolo, peraltro, questo luogo lontano dal suo cuore). E fa agire, oltre al ritmo e all’accento, i singoli elementi della phonè, reiterando sillabe di uguale suono e durata, appunto. Come nelle assonanze degli stralci citati: so (la), se (ra), me; (racc) ol (go), (f) oc (e), (gi) or (ni), (padr) on (a), (tr) em (ando), (c) om (e), (fi) um (e), …

…A una rima di vento, allora, spiazza, sorprende: sia il lettore che preferisce trovare nella poesia la sottolineatura di mali e malanni attuali perché chiede alla poesia conferme, solidarietà contro la deriva, una civile indignazione apertis verbis, sia il lettore che nella poesia vuole complicità della fuga e della sua attesa, quella del bene stare indotto dal pensiero altro rispetto all’intorno ma senza rasentare la sfera dell’impossibile o del déja vu.

Entrambi spiazzati. La denuncia è nell’assenza degli orrori, della contrarietà ad essi: il tacerli è una “punizione” nei loro confronti? Può darsi. Entrambi sorpresi: la fuga è nella presenza di “paesaggi” (dello spirito) non rimossi nonostante le dilapidazioni e lo scialo. Valgono come risarcimento e proposta? Forse sì.

“Il vento”, nell’una e nell’altra modalità e virgolettatura, ne è il risultato e viene inserito in “rima”. Un vento che è tanta parte della vita di ciascun e ciascuna vivente: reale e metaforico per chi abita al mare e per chi abita in collina, in montagna; per chi ha nella vita movimenti sul “no”, per chi – nella vita – segue il corso lieve del “sì”, nelle somiglianze e nelle simbiosi, nelle diversità e nell’incessante andirivieni di strade conosciute perché mai differenti: la natura, i sentimenti, l’etica dei valori. («Camminiamo di nuovo come pietre / che una piccola frana scatena nella valle / e un nostro accento si schiude / allo sguardo veloce, / al silenzio di chi ci passa senza voce accanto.»)

Piccola, grande verità. “Il massimo di verità (espresso) con il massimo di pudore”: questo “il respiro del verso” di Enrica Loggi. Franco Manescalchi ad apertura del libro (edito da Polistampa, 2012, arricchito di tre disegni vibranti di Giancarlo Orrù ne individua le caratteristiche.