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11/04/12

Dedicato a Rita Vitali Rosati

Ahi! Come per una puntura di spillo: è l’ironia di Rita. Il titolo del racconto fotografico maschera un’esclamazione indicibile. Sono i flashes del dramma quotidiano che viviamo tra quattro mura, schiacciati dalla solitudine dei nostri giorni che si consuma tra le pareti domestiche, dove le immagini della televisione recitano per noi quotidianamente la catechesi dell’inesorabile. La nostra esistenza viene così simbolicamente esposta allo spettacolo senza repliche delle ferite, del sangue, della morte. Immagini che passano indisturbate, come in un Acheronte che le confonde a quelle degli show televisivi, cantanti accanto a poeti, divi del piccolo schermo, nello stesso magma.
La visione dell’Artista sta nel “gesto” di riprodurre, di sottrarre alla routine mediatica un volto, e così consacrarlo all’attenzione, alla passione, alla compassione, all’orrore di chi guarda. Sembra un gesto da nulla, consumato in una bella casa, in uno dei tanti giorni che attraversiamo tra memoria e oblio. E invece è un gesto di grande portata umana. E ci accorgiamo, davanti alle immagini di questo libro, che il nostro sguardo può trasformarsi nell’”amen” di un commento estremo. L’Artista non ha sopportato il continuum di immagini d’assalto quotidiane, e ha sentito il bisogno di fermarle, di allacciarle al suo click, per raccontarcele come fossero un abicì, un “memento”, affidato alle pagine di un libro dove prendono corpo contrappuntandosi il dramma individuale della Fotografa e quello sociale.
Nella bella casa l’Artista fotografa se stessa ripetutamente, sfumando l’immagine fino a una definizione informale, e più volte presta il suo volto sfacendolo in una vertigine di pose lancinanti. Dunque la mostruosità degli eventi passati per lo schermo ha invaso la vita, l’equilibrio di un’esistenza, per cui le immagini di Rita sono emblematiche di ciascuno di noi, fatto oggetto innocente di una sequela di barbarie, come quella alluvionale degli schermi e della stampa.
Non c’è scampo: le stesse immagini-spettacolo riprese dal video fanno parte della sarabanda quotidiana, indifferenziate, date in pasto per riempire i vuoti di un’esistenza senza più volto, senza più ascolto, assediata nel suo diritto alla speranza.
Notevole l’invenzione fotografica per cui tutto si compie dentro le pareti di un appartamento, che magari ha conosciuto giornate di affetti, di familiarità, di scambio umano: tutto, e quasi all’improvviso, contro ogni ragione. Il volto di Rita è immerso in un agone, perde le sue linee, diventa una fiamma che trasvola nell’aria. E le pagine ci svelano una ad una, con la pazienza di una pietà anch’essa venata d’ironia, che siamo comunque spettatori, e intorno a noi non c’e che il vuoto di un’inappartenenza che ci consegna a un ruolo impotente.
Narrare tutto questo è un gesto che, riproponendocela paradossalmente, smentisce la cronaca per raccomandarla pagina per pagina a lembi di pietà umana. Il racconto è una specie di estrema ironia nei confronti della pigrizia morale che c’inchioda, apparentemente affrancandoci da debiti d’umanità, e in realtà sottolineando una responsabilità che abbiamo dismessa.
"Ahi " è un’opera-ritratto dell’assurdo quotidiano, e in questa pagina continua l’Artista ha saputo cogliere persino un dato estremo che è quello della vita che abbandonandosi e abbandonandoci, lascia sui nostri selciati frammenti di bellezza, indimenticabili, piccoli e grandi “fleurs du mal”.

Enrica Loggi

05/04/12

Dedicato a Stefano Taffoni


Disteso microcosmo

Nel silenzio di un pomeriggio ho trovato alla sala da tè più antica di San Benedetto, nel cuore del quadrilatero disegnato dalle stradine del centro, e in un altro cuore che è il perimetro quadrangolare della sala stessa, composta tra tavoli liberty e luci soffuse, l’arte di Stefano Taffoni affidata a quadri fotografici disposti alle pareti. La natura delle immagini in mostra era in armonia con l’atmosfera della sala, con le musiche che si susseguivano a sfumare il silenzio di un’ora precedente l’afflusso dei frequentatori, e i quadri si facevano cercare, più che mostrarsi o imporsi, per i colori discreti e per la loro natura figurale così vicina al tono di quell’ora.Superfici dai colori insoliti, che velavano il proprio significato nel modo di disporsi delle immagini,ottenute in maniera tecnicamente inedita, ricavate da un’osservazione millimetrale di particolari materici.La forza di queste immagini sta nell’aver proiettato l’estremamente piccolo, lo scarto, su grande scala , con un atteggiamento rabdomantico, per cui il Fotografo diventa quasi un evocatore di forme, di sigle pittoriche, in una gestalt di estremo gusto, dove ritroviamo quasi la felicità di una scoperta scientifica. La materia ha mille volti, può mostrarsi azzurra, rossa, gaiettata, e l’immagine felice di essa è un luogo ritrovato, la sostanza di una visione, la sua alchimia. In un cammino all’inverso, i cieli, i paesaggi astrali, le forme pittoriche di Stefano erano semplici lamiere. L’occhio fotografico si è inoltrato in un’apparente non-significanza (il silenzio della materia) per rivelare la presenza, in essa, di un potenziale visionario senza limiti. Escono così dall’obiettivo costellazioni, paesaggi informali dove l’immaginazione può liberamente avventurarsi, entrare nel terreno di un’autentica meditazione , e riposare nel suo mistero come in un altro sguardo, esplorarne la cifra della meraviglia.Ho a lungo interrogato le superfici del disteso microcosmo con cui Stefano, da un silenzio quasi astrale, si offre alla nostra capacità di meditare, e ne è derivato un incontro, un arcano richiamo a ritrovarsi in una pace diversa, lontana da qualsiasi clamore, sul terreno di un fervido e multilingue enigma che non s’impone, ma si scioglie con garbo rimandando alla pittura , a un’astrazione che disinteressatamente ci propone un cammino, una ricerca dell’altrove, un affascinante punto di fuga.

Enrica Loggi