di Maria Grazia Maiorino
Poesie brevi, senza
titolo, incastonate fra due poemetti in corsivo, appaiono a chi legge simili a
finestre che si spalancano sul bianco della pagina, aprendo orizzonti di tempi
e spazi sempre sulla soglia dell’indicibile, del visionario. Con passi lievi,
musicali e danzanti, ci introducono in un paesaggio d’anima, quasi un doppio dell’io lirico, evocato già in
copertina da due volti femminili in un vortice di capelli intrecciati e, poco
più avanti, da un’alata dormiente sotto lo specchio lunare.
S’allontanano i giorni e qualche ora
rimane seminata nella strada
insieme a foglie che chiedono
al vento di non cedere.
E’ qui il mio libro, e dice le parole
della canzone lontana come un giorno
che si nascose nella primavera.
Questi versi potrebbero
racchiudere una dichiarazione di poetica. Foglie/fogli/parole. Parole vanno
insieme alle foglie e chiedono di resistere, di fermare l’istante prima che
trascolori, di essere raccolte e amate. Portano la voce di un’origine, di
un’innocenza rimasta miracolosamente intatta, come una primavera lontana.
Enrica è in perenne ascolto di questa voce, anche quando è solo un soffio, un
sospiro impercettibile, e per darle consistenza la disegna con pennellate che
via via compongono un volto: viso guancia ciglia labbra occhi
profilo sembiante… Figure femminili germinano una
dall’altra come in tanti frammenti di specchi, la parola stessa sembra
spogliarsi di qualsiasi costruzione puramente mentale per ripresentarsi scalza,
trasparente, ciclica come le stagioni. Dettata da una sensibilità profonda
capace di cogliere la luce in cui le cose appaiono e di esprimerla in
trasparenza, sfiorando il mistero che è dentro e fuori di sé.
Nella sua essenza
preghiera di lode orante, francescana, che, pur avendo inglobato in sé tutta
l’inquietudine, il dolore, la perdita, la pesantezza dei nostri tempi
difficili, è capace di risorgere e farsi via della bellezza e del canto.
Sorella, volto anche lei, la scrittura, possibilità di dare un nome alle cose,
a ogni cosa, partendo dalla ricchezza di suggestioni di una città, eletta a
luogo del cuore.
La donna reale,
trasformata in una polena di nave, si affaccia su quel cielo e su quel mare,
costa mediterranea, sabbia e scogliere, infinito di colline, lunghi tramonti
pieni di malinconia, monti lontani. Pronuncia parole antiche, sgranate come
litanie, mette in scena un proprio teatro assorbendo cadenze e melodie, nenie
di pescatori e delle loro donne che aspettano sulle rive, echi innumerevoli di
altri artisti che hanno rappresentato la stessa terra.
Infine il suo
autoritratto è una barca, simbolo per eccellenza della poesia, e così Enrica raccoglie
tutto l’andare del suo scrivere versi:
Tu mi somigli, barca senza riva,
a un inganno del vento te ne vai
oscillando sull’acqua che ti schiva
vivendo sempre come fosse mai.
Maria Grazia Maiorino,
di origine bellunese e residente ad Ancona, ha pubblicato le seguenti raccolte
di versi: “E ho trovato la rosa gialla” (Forum, 1994), “Sentieri al confine“
(Scheiwiller, 1997), “Viaggio in Carso“ (Edizioni del Leone 2000), “Di marmo e
d’aria” (Manni, 2005), “I giardini del mare” (Pequod 2011), “La pietra salvata”
(Il lavoro editoriale, 2016). É autrice del romanzo “L’azzurro dei giorni
scuri” e delle raccolte di racconti “L’America dei fari” e “ Angeli a Sarajevo”
(Gwynplaine Editore).
Una recensione di
Enrica Loggi sul libro “La pietra
salvata” si trova nel sito de Il Graffio.online al seguente link: http://www.ilgraffio.online/2018/03/27/nel-soffio-della-poesia-la-pietra-salvata-libro-maria-grazia-maiorino/
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