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25/11/16

Tra erbe e parole...



( Recensione di Sabrina Muzi ) 

Il luogo in cui Enrica Loggi ci invita a stare è uno spazio poetico che si riconosce nel momento naturale: è “dove” e “quando” accade e si compie nella sostanza fisica e sensoriale degli elementi.
Non allora solo luogo del ricordo, ma storia presente resa nella percezione di un paesaggio che sembra oscurarsi ed accendersi insieme a chi, discretamente partecipe, osserva e gode del farsi naturale delle cose. Ma non v’è differenza : fra il tratto morente della lucciola e una delicata morte di costei scorre un filo sottile, un’impercettibile diversità fisica e verbale, per il resto tutti vivono la medesima sorte.
Una pari dignità raccorda distanze, scardina differenze, dichiarando allo stesso modo l’alterità del momento e l’unicità del suo farsi ciclico. Un’energia umanizzante pervade ogni cellula vivente creando una familiare complicità tra creature di materia diversa che, colpite dalla stessa variabile luce, si confondono dialogicamente senza mai varcare il sentiero dell’identità. E’ una natura amica quella che abbraccia e consola Enrica, è la consapevolezza di una sensibilità unica che come in una danza cosmica raccoglie il perpetuarsi delle vite e dei destini.
In questo trascorrere spazio-temporale tra luoghi indefiniti e luci stagionali, sottili frequenze sonore e odori tersi, tutto sembra vestirsi di naturalezza e caducità, dei colori terrosi dell’immanenza, così come porsi, quasi a dispetto di ciò, nel piano sospeso della sacralità, dell’inviolabile, nello “zenit difficile” dove “tu sei lo splendore remoto del tuo momento”. Ma a chiamarci e a condurci in questa intensa promenade non è lo sguardo mistico della distanza, bensì l’occhio vigile dell’esperienza.
E il valore dell’andare, la ricchezza della mobilità; quindi la ricerca del farsi della storia naturale dove occorre poggiare il passo, magari a piedi scalzi per sentirsi solleticare o pungere fra i fiori di lillà e deserto, per proseguire nella scoperta sensibile di ciò che accadrà, che presto si renderà visibile, udibile, toccabile a colui che vorrà vedere, udire, sentire. Tutt’altro che prevedibile, questo viaggio contiene la forza di una parola che sembra scorrere di mano, scivolare naturalmente nei significati senza inciampare in sonorità che possono condurre verso interpretazioni più ermetiche per godere invece di una sensualità verbale che strutturalmente, come è giusto che sempre avvenga nella trasposizione linguistica di una coscienza, si specchia con la sensualità contenutistica, con la scioltezza evolutiva del pensiero.
Questo slittamento continuo sembra il lungo respiro dopo l’immersione, il riprendere aria dopo l’apnea, contiene la forza di tutto ciò che è vitale, che dunque occorre in quel momento.
Una ricerca linguistica allora non risiede qui tanto nella parola in sé, quanto in questo respiro che tante ne contiene e che si sostanzia fortemente della visibilità rappresentativa  del discorso.

Sabrina Muzi   ( http://www.sabrinamuzi.it/ )

05/11/16



Fiore azzurro che aspetti la mia sera...