La poetessa sin dalle prime poesie costruisce un inno a ciò che è vivente, così riferendosi al grigio delle case, da dove nonostante la difficoltà nasca qualcosa che prima non c’era e da singole parti del corpo in cui risiede la vita, quali le labbra, mentre il vento imbastisce la creatività generatrice dello stesso lavoro poetico, con riferimenti all’importanza degli elementi naturali in alcuni versi in esergo come la foglia in Pasternak e i granai di vento in Arnaut Daniel, e le nuvole in Riccarda Barbieri, portatori di vita e della vita: sembra una liturgia della natura in un suo cerimoniale. Nel verso e nel suo movimento viene riconquistato il proprio nome altrimenti disperso, un “recupero” di una identità in una città in cui c’è il pericolo della solitudine e dell’assenza delle persone. <> (pag.17). Perché la dissipazione del proprio nome? Perché una città in crisi di sentimenti? Perché un caro luogo solitario? Enrica registra sotto forme di affermazione e non di interrogativi, nella sua poesia l’essere. La sua testimonianza dell’essere ci invita a una riflessione su quella cultura urbana in cui i semplici sentimenti del dono sembrano involarsi e nascondersi senza dar conto, tuttavia la solarità si può incontrare sotto forma di qualcosa di vergine o di simulacro, quasi un viatico per continuare a tendere l’amo, cioé per continuare a vivere. <<…e il grigio della città / mi regala la veste di una pianta/ annosa e vergine, e il simulacro/ incontrato per strada che s’illumina/ d’un mazzolino di fiori disfatto>>. Sempre nella cultura della città, il volto di un tu poetico si mimetizza con il colore della sera, nascondendosi, divenendo altro: <<…la sera avanza e passa/ nel colore che cambia le sue luci/ il tuo viso che sbianca per amore.>> . A volte quel tu poetico è avvolto nel pallore dei gesti, altre volte è destinato a incrociare orme fitte su strade e sabbie, quasi a entrare nell’intensità della vita per qualche istante e a percepire la misura dolce della vita nonostante una giovane commedia.(pp:20-21). Contraddizione sì, dunque, ma portatrice di altra linfa vitale.
Dagli elementi naturali segni della vita si può risalire nella poesia di Enrica, a quello principale (che ricorre in diverse poesie) quello del vento, nel suo significato etimologico di anima, e quindi di un racconto poetico in cui l’anima segue un percorso verso l’essere (l’Essere) partendo dall’esser-ci.<
Di contraddizione in contraddizione: perché adesso il tu poetico è un personaggio celeste(pag.28), che tenta di trattenere le parole( la parole), <
Enrica non smentisce questa idea perché nel nominare il mare cavità, subito l’accosta all’attività rigeneratrice, dunque, trasformatrice, dal niente all’essere. Questo atto creativo appartiene anche alla creatura che come individuo si rigenera all’interno degli elementi naturali che amplificano continuamente la loro energia, e in questa loro pienezza si mostrano come nuove potenzialità di forme a cui il soggetto umano attribuisce un significato: allontanare parzialmente il dolore, creando segmenti creativi e di bellezza o creando solidarietà tra gli elementi naturali o facendo emergere la vita al di sopra di ogni altro aspetto. Enrica crede in questo salto utopico.
C’è un’opera del pittore svizzero Arnold Bocklin, che nel 1880 dipinse la prima versione e poi fino al 1886 cinque versioni di L’Isola dei Morti. Si tratta di un quadro in cui due massi di roccia fanno da contorno a un gruppo di pini svettanti alla stessa altezza dei primi. Il tutto a forma di isola e vicino il passaggio di una barca con una figura e una bara. L’imbarcazione è stata ritratta molto ridotta rispetto al resto. Si evince che il tema della vita anzi della virilità creatrice dei pini è ben evidenziato dall’artista. Il paesaggio è posto al di sopra e al di là della morte, in grado di dominarla e di far prevalere il principio di vita. Penso che Enrica si rivolga al paesaggio in questa direzione. Lei è nel pieno della sua attività poetica nel pensarlo come alternanza di pieni e di vuoti, di natura creatrice e dissolvitrice, di grandezza di energia e di annullamento fino alla sparizione di ogni ente di fronte al soggetto stesso che sparisce. La poeta crea un confronto dialettico in cui c’è attrazione e quindi creaturalità, oppure disaffezione e allora sembra affiori il ni-ente, il non-ente, la mancanza dell’essenza dell’essere. Se all’inizio avevo detto trattasi di una poesia dell’essere, ora posso dire delle intermittenze dell’essere, ed è per questo motivo che mi attrae moltissimo la poesia di Enrica Loggi,perché in questo suo poiein lascia spazio alla libertà laica del dubbio, della pluralità, della dialettica razionale e dei sentimenti, anche di quello verso l’ospite divino, che potrebbe essere l’inconscio, o quell’eros , come nel Simposio platonico, predicato da Diotima, come elevazione dalla bellezza degli elementi naturali compresi i corpi belli alla rigenerazione del bene o del sommo bene. Che la fede di Enrica sia una fede laica è testimoniata da una poesia di pag. 47, in cui Autore e Ospite, principi o sostanze materiali sono in stretto riferimento a oggetti già esistenti nella natura naturata, quando per primo dice che l’Autore potrebbe essere il giunco o migliaia di uccelli e di seguito quando conclude che uno dei gradini della scala che sale verso il cielo passerebbe davanti alla porta di casa per poter salutare l’Ospite. <